I numeri sono impressionanti. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus, “le persone che usufruiscono degli aiuti alimentari offerti dalla Caritas sono aumentate del 25%. Nello stesso periodo la quantità di cibo distribuito è cresciuta del 50%. Ad oggi ricevono sostegno alimentare 16.500 famiglie in diocesi, 5mila solo nella città di Milano”. Lo si legge in un report di Caritas Ambrosiana. Ogni giorno vengono distribuiti, in 126 centri di ascolto territoriali, 5 quintali e mezzo di alimenti. Poi ci sono gli aiuti provenienti dal Fondo San Giuseppe (con una dotazione attuale di 6 milioni di euro), creato per tendere la mano alle famiglie che hanno perso il lavoro a causa del lockdown. Caritas Ambrosiana ha nel frattempo raddoppiato il Fondo diocesano di assistenza, dotandolo di una disponibilità per il prossimo trimestre di 700mila euro (pagamenti affitti, bollette ecc). Nelle dieci diocesi della Lombardia non si possono trascurare gli interventi mediante le mense, i centri di accoglienza per senzatetto, i magazzini-abiti… La pandemia ha preso di mira la regione: com’è la situazione oggi? Ne parliamo con Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana, uno dei più attenti osservatori della realtà sociale lombarda.
La Lombardia, considerata uno dei “motori” d’Italia e d’Europa, è tra le aree più colpite dal virus. Quali gli effetti più pesanti che avete registrato?
A Milano, come nel resto della regione, abbiamo sperimentato ricadute devastanti del Covid-19. Un numero infinito di contagi e di morti, le “zone rosse”, intere comunità isolate… Con il lockdown le città hanno assunto un volto inedito, per certi versi spettrale. La Lombardia è stata messa duramente alla prova sul piano sanitario, economico, sociale, relazionale. Scontiamo segnali sul piano psicologico: l’isolamento ha prodotto in molte persone stati d’ansia, insonnia, sono cresciute le violenze domestiche. Quando si sono aggiunte le difficoltà lavorative ed economiche per parecchie famiglie, unite magari ai ritardi per ottenere gli aiuti annunciati, è subentrata la rabbia. Le attività produttive, che ora stanno riprendendo progressivamente, hanno avuto un azzeramento. E qui è emerso un altro aspetto della regione, dove si annidano lavoro precario o a chiamata, o attività “in nero”, che permettevano a molti di arrivare alla fine del mese: ma c’è chi è rimasto di colpo senza reddito, senza poter fare la spesa o pagare l’affitto o la rata del mutuo. Si sono scoperchiate innumerevoli situazioni di fragilità latente in mezzo a un benessere diffuso: come sempre i poveri pagano il prezzo più alto.
In mezzo a tanti problemi, avete registrato segnali di speranza?
Certamente. La solidarietà non è mancata, si sono moltiplicati esempi di generosità, forme molteplici di vicinanza. I giovani si sono fatti avanti, prendendo spesso il posto dei volontari costretti in casa per l’età. Mi vengono in mente i ragazzi che portavano la spesa a casa agli anziani, quelli che hanno fatto compagnia e accudito i senzatetto, coloro che hanno accompagnato le persone attraverso linee telefoniche amiche.
La rete delle Caritas è stata determinante?
Diciamo che la capillarità della nostra presenza, in stretta collaborazione con le parrocchie, ha potuto fornire tantissimi aiuti a chi era – ed è – in difficoltà. Abbiamo retto per questi tre mesi, dando fondo ai magazzini e ricevendo tante donazioni: non sono mancati alimenti, vestiti, aiuti economici a chi si rivolgeva ai nostri centri. Ma ora s’impone una domanda: come potremo reggere questi ritmi quando la recessione che si profila mostrerà effetti ancora più pesanti? L’attività delle aziende è ridotta, parecchi bar e ristoranti sono chiusi, i turisti non arrivano. Temiamo gli effetti diretti di questo impoverimento per almeno sei mesi, ma le ricadute di questo periodo potrebbero misurarsi per due o tre anni.
Il Fondo San Giuseppe è nato in questa prospettiva, non è vero?
Si tratta di una collaborazione tra diocesi e comune di Milano per aiutare chi perde il lavoro ed evitare che le famiglie cadano sotto la soglia di povertà.
Intravvede una via d’uscita per la Lombardia?
Finora lo Stato ha messo dei cerotti, nel senso che sono arrivati – o dovrebbero arrivare – i bonus alle famiglie, i fondi per la cassa integrazione, fondi per le imprese. Ma la vera soluzione arriverà, sul piano del lavoro e sociale, quando l’economia rialzerà la testa. Occorrerà vigilare, fra l’altro, sulle tutele e sui diritti dei lavoratori. E poi servirà il coraggio per rimodellare il sistema produttivo e commerciale, i nostri stessi stili di vita.
Senza trascurare il sistema sanitario, apparso in affanno…
Si dovrà intervenire sulle linee di emergenza, per far fronte a eventuali nuove pandemie, perché il sistema – basato sugli ospedali, peraltro con posti letto insufficienti in terapia intensiva – non è stato sufficientemente reattivo. Forse si punterà sulla medicina di prevenzione e sulla medicina territoriale, più vicina alla gente.
Come è stato il rapporto con le istituzioni politiche?
Hanno dovuto affrontare un’emergenza oggettivamente imprevista, tra mille difficoltà. Però possiamo sottolineare il ruolo rappresentato dai sindaci, dimostratisi spesso veri punti di riferimento per i loro cittadini. Possiamo dire che si sono strette alleanze anche tra comuni e Caritas del territorio, a favore delle popolazioni locali. Guardando avanti, è necessario che le istituzioni intraprendano politiche lungimiranti per creare contesti favorevoli per la tutela delle persone, specie dei più poveri, agendo sul fronte legislativo, del sostegno alle imprese, della pianificazione urbanistica, della difesa ambientale. Promuovere sviluppo e giustizia è il compito della politica, quella con la “p” maiuscola.
E la Chiesa lombarda? Quale immagine ha dato di sé in questi mesi?
Credo che la Chiesa abbia fatto il suo mestiere, annunciando il volto di un Dio benedicente e rimanendo accanto alle persone che soffrono. Penso all’arcivescovo di Milano che ha più volte espresso vicinanza alla gente, testimoniando fiducia in una storia condotta per mano da Dio. Una voce autorevole, importante nella lunga “quarantena” che abbiamo attraversato. “La situazione è occasione” titola la lettera pastorale di quest’anno per la diocesi ambrosiana: ebbene, la comunità cristiana ha modellato una diversa presenza tra la gente, con le celebrazioni in streaming e una vivace e prevalente dimensione della carità. Insomma, una Chiesa vicina alle persone. In un periodo che richiedeva distanza non si è rimasti indifferenti: distanti ma prossimi, direi. Credo si debba ripartire proprio dal “farsi prossimo”.