“Credo che la Santa Sede sia in una posizione ideale per spingere gli altri Stati ad arrivare ad un accordo mondiale che garantisca l’accesso di tutti i Paesi del mondo al vaccino anti Covid-19. Questo riconoscendo, al tempo stesso, una giusta remunerazione a chi avrà scoperto il vaccino”. È la proposta di Fabrizio Marrella, professore ordinario di Diritto internazionale a Ca’ Foscari. Una proposta che apre un percorso nuovo nel dibattito decisamente attuale e che nei prossimi mesi prenderà ancor più rilievo.
I tentativi di prendere tutto per sé. Il vaccino, infatti, quando arriverà potrà salvare la vita a milioni di persone e, in generale, sollevare l’umanità da una grande preoccupazione sanitaria, economica e sociale.
Ma già nelle scorse settimane si sono viste le prime battaglie sul tema, i primi tentativi di fare da sé e di fare per sé. L’azienda farmaceutica Sanofi, per esempio, fra le candidate ad arrivare per prima a produrre il rimedio più efficace contro il virus, ha lasciato intendere che gli Stati Uniti avranno la priorità sul vaccino perché hanno contribuito con molti soldi alla ricerca.
Da ciò l’irritata reazione del presidente francese, Emmanuel Macron, intervenuto per sottolineare che “il vaccino è un bene pubblico che deve essere fuori dalle logiche di mercato” e per ribadire di essere impegnato in “una risposta multilaterale coordinata per rendere il vaccino disponibile a tutti allo stesso tempo”, perché non ci sono confini per il virus.
Ma c’è anche la Gran Bretagna, che ha prenotato le prime 30 milioni di dosi del potenziale vaccino contro il Coronavirus sviluppato dall’università di Oxford in partnership con un’azienda italiana.
C’è, dunque, un modo per evitare che il vaccino vada solo o primariamente a chi ha più danari o più forza politica globale? E al tempo stesso è realistico che una distribuzione il più possibile diffusa del prodotto, specialmente fra le popolazioni povere, si accompagni ad una remunerazione ragionevole per chi si è impegnato a fondo nella ricerca, nella scoperta e nella produzione?
Tutela dei brevetti: i limiti evidenziati dalla vicenda Aids. Una via c’è, afferma il prof. Marrella, ed è bene iniziare da subito a individuarla a condividerla; più tardi potrebbe non esserci tempo e l’emergenza potrebbe lasciar spazio a soluzioni troppo “semplici” e poco tutelanti per il diritto di tutti.
“La protezione dei medicinali, anche di quelli più importanti – spiega il docente, che fa anche parte del Gruppo docenti cattolici della pastorale universitaria veneziana – è oggetto della normativa sui brevetti. Questa normativa ha un campo di applicazione nazionale e ogni Stato ha una sua legislazione specifica. A livello internazionale, quando – nel 1995 – è stato varato l’accordo istitutivo del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, si è inserito uno specifico accordo, il TRIPs, per la protezione dei diritti sulla proprietà intellettuale. Questo accordo, fortemente voluto dagli Usa, ha creato una norma valevole per quasi tutti gli Stati del mondo, che da un lato impone di tutelare i brevetti, compresi quelli sui farmaci, dall’altro prevede sanzioni anche pesanti per gli Stati che violano i brevetti altrui”.
Il meccanismo di mercato, prosegue il prof. Marrella, “non è dannoso in sé, ma il suo limite è emerso nel contrasto tra diritto del brevetto e diritto alla salute, ed è esploso sui farmaci salvavita contro l’Aids. Africa e India ne avevano bisogno, perché avevano grandi numeri di malati da curare, ma i brevetti erano di proprietà di alcune multinazionali statunitensi e svizzere. Il dibattito ha portato a un compromesso: un emendamento all’accordo TRIPs, per cui un farmaco essenziale per salvare vite umane sfugge alla copertura da brevetto”.
Ma il diavolo sta nei dettagli, rileva il docente, perché la procedura è abbastanza complessa. La deroga al brevetto è inoltre valida solo per i Paesi in via di sviluppo; in secondo luogo prevede che uno Stato che produca, attraverso questa licenza, farmaci essenziali che non ha scoperto, non può esportarli a Stati terzi. Non può fare business, insomma.
L’obiettivo numero 3. Un passo avanti, comunque. E uno ulteriore è stato fatto il 25 settembre 2015, quando l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, con i suoi 13 obiettivi e 169 traguardi. Gli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile hanno validità universale, cioè tutti gli Stati devono contribuire al loro raggiungimento entro il 2030.
Si tratta – chiarisce il docente di Diritto internazionale – di obiettivi ambiziosi quali quello di porre fine alla povertà estrema nel mondo, di lottare contro i cambiamenti climatici e quello di garantire diritti umani per tutti. Tutti – gli Stati, le organizzazioni internazionali, le imprese e la società civile – sono chiamati a contribuire a tali obiettivi per la sopravvivenza del pianeta e di ciascuno.
Tra questi vi è l’obiettivo numero 3, che intende assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età. Prevede di conseguire una copertura sanitaria universale, compreso “l’accesso sicuro, efficace, di qualità e a prezzi accessibili a medicinali di base e vaccini per tutti”.
“Non è – continua Marrella – una norma cogente, ma una regola internazionale, una linea guida mondiale che deve ispirare l’azione degli Stati”.
Un vaccino contro Covid-19 può rientrare in questo schema? “La risposta è sì, ma ci vuole un’azione diplomatica particolare. Perché il vaccino dovrà essere disponibile per tutti, in particolare per i Paesi che non lo avranno sviluppato. Perciò potrebbe essere utile che, a livello internazionale, uno Stato prendesse l’iniziativa di dire che deroghe parziali al sistema di brevettazione si applicano al vaccino antiCovid-19, in quanto questo virus produce pandemia. La posizione ideale potrebbe averla la Santa Sede, magari insieme al Governo italiano”.
Un valore per i credenti e per i non credenti. Ma quale significato condurrebbe con sé un’eventuale azione diplomatica del Vaticano? “Per i cattolici – conclude il prof. Fabrizio Marrella – si tratta di dare applicazione alla lungimirante enciclica Laudato si’ di Papa Francesco del 24 maggio 2015. Per gli atei di riconoscere che in materia di salute umana non può essere solo il mercato a dettare le regole della sopravvivenza della comunità umana”.
(*) direttore “Gente Veneta” (Venezia)