I “volontari inattesi”: giovani e istruiti, sono i nuovi protagonisti della società

Sono tante, ricche e diverse le storie dei volontari di origine straniera intervistati nell’ambito della prima ricerca nazionale promossa da Csvnet e realizzata dal Centro studi Medì. Sono giovani, istruiti, integrati e fanno volontariato regolarmente

Mohammad, iraniano, vive in Italia da 32 anni, lavora in un albergo a Firenze ed esprime la sua passione per l’arte attraverso il volontariato. Carla, vissuta in Venezuela per 40 anni, è dovuta fuggire e tornare a Chieti, terra di origine dei genitori. Ora si occupa dei poveri. Moussa, 41 anni, musicista e attore del Burkina Faso, abita a Cuneo. Come volontario mette a disposizione la sua musica e la sua arte. Marie Claire, rwandese, infermiera a Roma, ha fondato un’associazione di volontariato per aiutare le connazionali. Sono tante, ricche e diverse le storie dei volontari di origine straniera intervistati nell’ambito della prima ricerca nazionale promossa da Csvnet (l’associazione nazionale che riunisce i Centri di servizio per il volontariato territoriali) e realizzata dal Centro studi Medì di Genova. L’indagine è curata dal sociologo Maurizio Ambrosini, dell’Università di Milano, e Deborah Erminio, dell’Università di Genova, ed è contenuta nel volume “Volontari inattesi. L’impegno sociale delle persone di origine immigrata” (Edizioni Erickson). L’indagine è stata condotta tra il 2018 e il 2019 tramite 658 questionari e oltre 100 interviste in 163 città italiane, coinvolgendo migranti provenienti da 80 Paesi. Sarà presentata ufficialmente il 22 giugno. Dalla ricerca emergono dati inediti, che sfatano tanti pregiudizi, primo fra tutti quello che gli immigrati siano un fardello per la società italiana. In realtà è tutto il contrario: rappresentano invece “un capitale di risorse” per le associazioni di volontariato.

Giovane, istruito, vive in Italia da molto tempo. Il 55% fa volontariato a cadenza settimanale, in media da 6 anni: questo l’identikit del volontario immigrato.

Mohammad Aletaha, ad esempio, è partito da Teheran 32 anni fa, ha 57 anni e vive a Firenze insieme alla moglie e alla figlia di 28 anni. Lavora in un albergo ma nel volontariato esprime sé stesso, la sua passione per l’arte e la cultura: “Mi dà una bella sensazione che rimane dentro, e per me questo è molto importante”. Dal 2012 è nell’associazione “Biblioteca di pace”, che lo coinvolge in due progetti nelle Gallerie degli Uffizi, per creare percorsi di integrazione e incontro tra culture. Dodici cittadini immigrati, fra cui Mohammad, hanno raccontato altrettanti capolavori dell’arte custoditi negli Uffizi, intrecciando il loro vissuto con la storia delle opere.

Carla Bellafante è invece nata a Chieti 43 anni fa ma si è subito trasferita con i genitori in Venezuela, dove ha vissuto gran parte della sua vita. Due anni fa è stata costretta a tornare in Italia, nella città abruzzese di origine. È sposata e mamma di due bambini di 7 e 5 anni. In Venezuela non le mancava niente, era preside di un grande istituto. Per questo ha subìto minacce e un tentativo di sequestro, cui si è aggiunto il progressivo peggioramento delle condizioni di vita del Paese. Costretta a fuggire, ora Carla è una volontaria dell’associazione Emozioni a Francavilla al Mare. Promuovono servizi essenziali a favore della comunità: dalla distribuzione di viveri, farmaci, vestiario, all’assistenza psicologica, laboratori, aiuto per i ragazzi nello studio.

Moussa Sanou, 41 anni, originario del Burkina Faso, vive a Cuneo da 9 anni e aiuta gli altri attraverso la musica e l’arte. Dopo aver girato il mondo come musicista, attore e compositore, si è fermato nel nostro Paese e si è sposato con Loredana. Con lei ha scelto di condividere anche l’impegno nel volontariato. L’associazione da lui fondata si chiama “Mano nella Mano” e “offre a chiunque la possibilità di avvicinarsi alla musica e all’arte in modo naturale e fisiologico – racconta Moussa –, rendendo consapevoli le persone di quanto sia importante per lo sviluppo intellettivo ed emotivo”.

Marie Claire è originaria del Ruanda, è arrivata in Italia nel 1994, appena ventenne. Oggi è un’infermiera nel reparto oncologico dell’ospedale San Camillo Forlanini a Roma, dove vive con il marito (un medico italiano) e tre figli. Negli anni ’90 la famiglia di Marie Claire decise di mandarla in Italia, dove già viveva la sorella maggiore, per sfuggire al genocidio contro l’etnia Tutsi. In Italia ha fondato Umubyeyi mwiza (Um Onlus), di cui è anche la presidente. Umubyeyi mwiza è un’espressione della lingua kinyarwanda traducibile con il concetto di “una mamma buona”. L’associazione aiuta le donne rwandesi a rendersi autonome attraverso il lavoro ed è “ponte” tra l’Italia e il Rwanda.

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