Mentre la crisi sanitaria dovuta al Covid-19 sta rientrando, parallelamente si stanno manifestando in tutta la loro gravità le altre due crisi legate alla prima: la crisi economica e la crisi sociale.
Non occorre essere fini analisti per intuire che le economie europee (ma non solo) sono di fronte a un passaggio alquanto difficile. Qualcuno ipotizza che la sopravvivenza stessa della democrazia così come l’abbiamo conosciuta nel XX secolo, dipenderà dalla capacità di superare positivamente questa strettoia della storia. Questo vale in particolare per l’Italia per almeno due motivi: il nostro è uno dei Paesi che più è stato colpito dalla pandemia ed è il Paese che presenta condizioni di partenza più deboli degli altri.
Dopo la crisi economia del 2008-2009 l’Italia, a differenza degli altri partner europei, non avendo avuto la forza e la volontà di attuare riforme coraggiose, non è riuscita a risalire la china e in questi anni ha sempre arrancato rispetto alla crescita auspicabile. In questo senso dunque la crisi è destinata da noi a impattare in modo particolarmente pesante. I negozi, i ristoranti, i bar chiusi di questi giorni sono un indicatore della difficoltà con la quale già ora ci troviamo a fare i conti.
Per uscire da questo passaggio molto delicato (di cui si parla anche nello Speciale economia all’interno del giornale) senza pagare un prezzo sociale insostenibile in termini di aziende chiuse, disoccupati, famiglie in povertà servono molti ma molti soldi. L’Italia non avendo risorse proprie per finanziarsi ha solo un modo per recuperare le risorse necessarie: fare debito. Da qui la decisione di chiedere aiuto all’Unione Europea, Ue che mai come in questo frangente sta aiutando i Paesi colpiti (Italia in primis) con iniezioni di liquidità. Per tutte queste ragioni il nostro debito pubblico a fine anno schizzerà dall’attuale già enorme 134,8% al molto probabile 159%. E’ ovvio che non si può pensare di dormire sonni tranquilli sopra un debito di tale enormità. In questo senso l’attuale fase deve rappresentare un’occasione decisiva per il Paese per un passaggio di maturità. La responsabilità dimostrata nei due mesi di crisi sanitaria acuta deve ora manifestarsi nella gestione dell’economia e delle riforme necessarie. Una delle caratteristiche di qualsiasi debito è che prima o dopo lo devi onorare, devi cioè restituire i soldi che qualcuno ti ha anticipato ma questo potrà avvenire solo a condizione che l’economia torni a crescere. La preoccupazione di tutti (delle istituzioni, dei partiti, ma anche dei cosiddetti corpi intermedi) dovrebbe essere fare in modo che riparta la produttività. Guai se qualcuno pensasse di prendere la china assistenzialistica (come qualcuno sembra pensare). Ma auspicare e lavorare per questo significa essere consapevoli delle zavorre che da anni rallentano la corsa dell’Italia.
Questa crisi, dunque, deve essere vissuta come l’occasione per fare quelle riforme possibili forse solo in una condizione di necessità e urgenza (la riforma della pubblica amministrazione, la riforma fiscale, la riforma della scuola, solo per citarne alcune) e che sono indispensabili per riavviare la crescita. La prospettiva che deve guidarci, l’obiettivo fondamentale da perseguire è ridurre progressivamente l’enorme debito che grava sulle spalle del paese. Questo significa dimostrare concretamente che stiamo investendo sul futuro e non decidiamo, ancora una volta, di scaricare i costi (con riforme tipo “Quota 100”) sulle spalle dei nostri (pochi) giovani.
Avere un grosso debito obbliga a non sprecare la credibilità che il Paese ha. Solo così questo difficile e sofferto passaggio sarà sostenibile e ci farà fare come Paese un passo reale in avanti.
(*) direttore “La voce dei Berici” (Vicenza)