Sia la Camera che il Senato hanno dato il via libera con voto praticamente unanime allo “scostamento di bilancio”. Come già avvenuto lo scorso 11 marzo, anche l’opposizione ha votato per autorizzare il Governo a ricorrere al maggior deficit necessario per finanziare le misure economiche anti-pandemia. Un segnale positivo che merita di essere sottolineato anche se poi, come un mese e mezzo fa, la politica nazionale non è stata e non sembra tuttora capace di esprimere quello spirito unitario che la situazione del Paese richiederebbe. Anzi, rispetto alla fase precedente, le tensioni sembrano ancora più esasperate, come se il superamento della fase più acuta dell’emergenza – superamento tutto da consolidare – facesse venir meno l’esigenza di una convergenza di fondo nell’interesse generale della comunità nazionale, pur nella distinzione dei ruoli e delle posizioni. Un messaggio pericoloso tanto più nel momento in cui la parziale ripartenza economico-produttiva crea una situazione ibrida e fluida, dopo l’inevitabile rigidità del lockdown, ed esige quindi
un supplemento ulteriore di responsabilità diffusa
da parte dei cittadini, al di là della formulazione letterale delle regole.
Sulle ultime decisioni del Governo ha riferito oggi alla Camera il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. In termini di comunicazione l’intervento è stato obiettivamente più efficace e coerente di quello di domenica sera. “Qualsiasi atteggiamento ondivago, come passare dalla politica del ‘chiudiamo tutto’ a quella dell’’apriamo tutto’, rischierebbe di compromettere in maniera irreversibile gli sforzi fatti fino qui”, ha detto tra l’altro il premier, osservando che nessun Paese ha ripreso le attività tutte insieme. E ha aggiunto: “Quindi preferisco dirlo forte e chiaro, e preferisco dirlo qui in Parlamento, a rischio di apparire impopolare: il Governo non può assicurare il ritorno immediato alla normalità della vita precedente”. Finora l’approccio gradualistico e pragmatico ha dato risultati importanti e ha anche consentito all’Esecutivo di raddrizzare il tiro e, in qualche caso, di correggere gli errori compiuti in una situazione che non ha precedenti sotto ogni profilo. In questa chiave Conte ha difeso l’utilizzo dei “decreti del Presidente del Consiglio dei ministri” – gli ormai ben noti dpcm – che sono strumenti molto più agili rispetto ai decreti-legge. Intorno a questo ricorso ripetuto ai dpcm si è innescata una polemica politico-giuridica, perché si tratta di atti che non prevedono un passaggio parlamentare e in sé non hanno quel rango normativo di legge che la Costituzione richiede qualora vengano eccezionalmente limitati alcuni diritti fondamentali come la libertà di movimento. Il premier ha però ricordato che i dpcm hanno avuto la “copertura” di atti aventi forza di legge – il testo unico della Protezione civile collegato alla dichiarazione dello stato d’emergenza e due decreti-legge, in particolare il n.19 del 25 marzo – e che comunque anche nell’eccezionalità della situazione è stato preservato “l’equilibrio nel rapporto tra poteri” e “nel bilanciamento dei diritti e delle garanzie”. Al di là dei singoli aspetti tecnici, si tratta di questioni molto serie perché, come ha affermato di recente la presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, è la Costituzione “a offrire alle istituzioni e ai cittadini la bussola necessaria a navigare ‘per l’alto mare aperto’ dell’emergenza e del dopo-emergenza”. Ma la stessa Cartabia ha ricordato che “c’è un principio costituzionale che merita particolare enfasi e particolare attenzione” in questo frangente ed è quello della “leale collaborazione” tra Istituzioni. Una sottolineatura eloquente perché se c’è un profilo istituzionale che lascia sconcertati in questa fase è proprio l’atteggiamento di molte Regioni che, da settimane, continuano ad anticipare o addirittura a contrapporre le proprie ordinanze alle decisioni di carattere nazionale. Già nei primi momenti dell’emergenza, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva messo in chiaro che “alla cabina di regia costituita dal Governo spetta assumere – in maniera univoca – le necessarie decisioni in collaborazione con le Regioni, coordinando le varie competenze e responsabilità” e “vanno, quindi, evitate iniziative particolari che si discostino dalle indicazioni assunte nella sede di coordinamento”. Invece, con una sistematicità che non può non far pensare a un disegno politico, continua il fai-da-te, con esiti a volte grotteschi perché al di fuori del rispetto dei ruoli e della “leale collaborazione” il sistema impazzisce verso l’alto e verso il basso. E’ successo così che in Calabria, per esempio, la governatrice abbia deciso di riaprire da subito bar e ristoranti e sia stata sconfessata da molti sindaci, compresi quelli delle città principali, Catanzaro e Reggio. Nel discorso alla Camera, Conte ha ribadito che “allo stato delle previsioni vigenti iniziative di Enti locali che comportino l’introduzione di misure meno restrittive di quelle disposte su base nazionale, non sono possibili perché in contrasto con le norme del decreto legge n. 19 del 2020, quindi sono da considerarsi a tutti gli effetti di legge illegittime”. Finora lo scontro frontale è stato evitato, ma a volte l’impressione è che taluni cerchino proprio questo risultato.Il Paese ha bisogno di tutt’altro, evidentemente, sia nella lotta al contagio, sia nelle misure di sostegno economico e sociale. Il decreto-legge Cura Italia è definitivamente approvato dal Parlamento questa settimana. Per l’inizio della prossima si attende il varo di quello che doveva essere il “decreto Aprile”. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha parlato di “una manovra espansiva imponente, di un’entità mai vista dal dopoguerra a oggi”. Imponente sarà di sicuro, viste le cifre messe a bilancio. Speriamo che anche la tempistica sia adeguata e che finalmente anche le famiglie abbiano l’attenzione che meritano.