I numeri dell’epidemia di coronavirus Covid-19 in Italia sembrano iniziare ad essere incoraggianti, ma questo non può far abbassare la guardia ed infatti proseguono i proclami che arrivano da ogni direzione, per invitare le persone a continuare a rispettare le limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria. Tra quelli che non possono rilassarsi perché impiegati in prima linea ogni giorno, ci sono medici, infermieri e assistenti sanitari del Policlinico Gemelli di Roma.
Attualmente conta 40 posti letto di malattie infettive nella struttura principale dove si trova anche un reparto con letti di isolamento per i casi Covid pediatrici e il laboratorio dove vengono analizzati tutti i tamponi e test eseguiti ai pazienti. Nella struttura Columbus Covid 2 ci sono altri 60 letti di terapia intensiva Covid e 100 letti di pneumologia, malattie infettive e medicina Covid di diverso grado di intensità. Il Gemelli gestisce anche i 161 posti letto dell’Hotel Marriot Courtyard, dove la Regione Lazio ha stabilito uno spazio per accogliere i pazienti usciti dalla terapia intensiva ma ancora positivi. All’inizio dell’attivazione l’ospedale di riferimento dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha dovuto gestire contemporaneamente circa 550 pazienti Covid o sospetti, convertendo dei reparti per gestire i casi da tenere tutti in isolamento. Come Sir abbiamo incontrato le diverse figure che operano nell’ospedale romano, particolarmente specializzate per affrontare un virus con il quale si sta cercando di imparare a convivere, ma che non smette di creare apprensione.
“In questi giorni cominciamo a vedere una certa attenuazione della curva”, le parole di Andrea Cambieri, direttore sanitario del Gemelli, che evidenzia il dato positivo che potrebbe portare l’ospedale a tornare alla normalità, evitando di sacrificare eccellenze come oncologia, neurochirurgia, chirurgia generale e specialistica, cardioscienza ed altre ancora. “La pandemia ha rinforzato i punti di forza del nostro sistema sanitario nazionale che è un’arma di difesa, perché si lavora tutti insieme, tutti in blocco. È la rete che funziona non i singoli ospedali”dichiara Cambieri orgoglioso di come stiano operando le tante figure professionali del nosocomio romano nodo centrale della rete, tra le quali anche diversi specializzandi contrattualizzati per far fronte all’incremento di sforzo, “Questo è un lascito da non perdere. Sicuramente la sanità pubblica, le difese per le epidemie, per le malattie infettive vanno ripensate. Era qualcosa che era stato lasciato un attimo indietro, e sicuramente non sarà più così in futuro”. Difficile dimenticare anche tutto il lavoro resosi necessario per ricavare in tutto l’ospedale percorsi distinti ed isolati tra pazienti Covid e non, a partire dal pronto soccorso per finire i reparti di rianimazione, aumentando la sicurezza sia per i malati che per chi li assiste.
“Dal punto di vista umano è cambiato tutto, sono cambiate le relazioni, il modo di comunicare con il paziente. La cosa che fa più male è proprio questa”, le parole di Serena Lochi, caposala rianimazione Covid al Policlinico Gemelli, che descrive in questo modo l’isolamento vissuto dai malati che non possono vedere i parenti ed incontrano solo medici e infermieri, “In questo momento sono gli occhi che parlano. I gesti comunque non mancano, anche se ci sono delle barriere fisiche come la tuta, il doppio guanto, la visiera, la mascherina ingombrante e altro ancora, però le mani vengono a contatto con il paziente e loro se ne accorgono”.Un rapporto difficile che passa anche per l’aspetto più duro della malattia, la morte, “Una collega l’ha definita la malattia della solitudine, ed ha ragione perché si è da soli, i propri cari vengono estromessi da tutto, e si muore da soli”, racconta Lochi che ricorda l’ultima telefonata di un paziente ai suoi cari, prima di essere intubato e morire
“Questa telefonata non riesci a dimenticarla. Lui è deceduto insieme a te, sei stato tu parte della sua famiglia in quel momento, quindi ti senti come se tu avessi perso il tuo caro”.
Quello lasciato dalla morte è un grande vuoto secondo Vanessa Cinelli, infermiera al Columbus Covid 2, che è fiduciosa “ne vogliamo uscire e ne usciremo, ce la stiamo mettendo davvero tutta”, le sue parole che raccontano l’impegno professionale ed emotivo messo in campo coralmente e che viene riconosciuto anche dai parenti dei pazienti “ci arriva tanta stima, tanta gratitudine perché si rendono conto che il lavoro è diventato più complesso anche da gestire emotivamente. Speriamo continui perché noi ci siamo sempre stati e ci continueremo ad essere”.
La fragilità delle persone che si manifesta difronte alla malattia ha richiesto un impegno aggiuntivo che Gennaro De Pascale, coordinatore della terapia intensiva Columbus Covid2, rimarca nell’operatività in prima linea a stretto contatto con i pazienti, costati sacrificio per il personale medico, infermieristico e assistenziale e per le loro famiglie, “Non è stato e non è un periodo semplice ma siamo comunque molto motivati nel vedere, nonostante alcuni insuccessi, molti pazienti riuscire a guarire ed uscire dalla terapia intensiva verso un percorso riabilitativo”. Un’emergenza affrontata al meglio anche dal sistema sanitario italiano, secondo il dottore del Gemelli che sottolinea l’apporto senza riserve nella fornitura di tutto l’occorrente per allestire le nuove terapie intensive, suscitando anche una riflessione che questa esperienza può fornire sul ruolo sociale del personale sanitario, medico, infermieristico e assistenziale, “quando c’è un momento di difficoltà estrema come una pandemia virale, tutto il mondo si ferma ma il personale sanitario continua in prima linea per cercare di supportare le persone in difficoltà”.
Un impegno senza sosta che coinvolge anche gli studenti come Francesca Albanesi, ultimo anno di medicina e chirurgia, che sta continuando a fare tirocinio per l’abilitazione alla professione, i corsi e gli esami online, mentre si preoccupa per i suoi familiari distanti. Impegni e preoccupazioni che però non hanno impedito di prodigarsi anche nell’organizzare un ponte tra Cina e Policlinico Gemelli, per far arrivare fino ad ora circa 200mila mascherine chirurgiche, oltre che mascherine Ffp2 e Ffp3, tute ed altri dispositivi di protezione individuale. Tutto nato dal suo interesse assieme a quello di Anna Fu, una collega di origini cinesi, e portato all’attenzione della Fondazione Gemelli attraverso Giovanni Paolo D’Incecco Bayard De Volo che ha preparato una lettera da condividere con la comunità cinese, pronta a rispondere oltre le aspettative. “Tutto il materiale arriva da enti ma, soprattutto, da privati che hanno messo insieme con altri il loro materiale acquistato per inviarlo in modo cumulativo in Italia, tutti accompagnati da messaggi molto belli di fratellanza e speranza scritti sulle scatole”, le parole di Albanesi che vede questo periodo anche come la possibilità di aumentare l’attenzione verso gli altri, “Normalmente siamo portati a pensare che le iniziative solidali le fanno altri, invece in questo caso la gente ha preso in mano la situazione dicendosi: anch’io posso fare qualcosa”.
Attenzione al prossimo che don Nunzio Currao, assistente pastorale dell’Università Cattolica Sacro Cuore e assistente del personale, cerca di vivere quotidianamente attraverso l’assistenza spirituale offerta con momenti celebrativi, liturgici, colloqui e anche nella preparazione ai sacramenti, oltre che, in questo momento particolare, con il supporto psicologico. “Quotidianamente compio la visita al personale nei luoghi dove lavora, anche se in questo momento non è così semplice entrare nei reparti con malati di coronavirus”, le parole di don Currao che benedice la tecnologia, grazie alla quale può restare in contatto con chi ha bisogno di supporto, aiutandoli anche a restare vicini ai malati isolati, “Ci sono dei pazienti che sono andati incontro alla morte e l’unica mano che hanno potuto stringere, l’unico sguardo che hanno avuto davanti e l’unica preghiera è stata quella del personale sanitario”. La pandemia ha risvegliato anche un sentimento religioso, che l’assistente spirituale del personale del Gemelli vive come un momento di catechesi, particolarmente importante in questo momento nel quale per loro è difficile restare affianco ai malati di Covid. “Rappresentano un po’ la Chiesa e, in qualche maniera, questa esperienza allarga gli orizzonti e impreziosisce ancora di più la loro professione”, dichiara don Currao riferendosi ai gesti che il personale sanitario compie al loro posto “Ci chiedono come approcciare al meglio il paziente per dargli un conforto spirituale, pregare e benedire il malato tracciando un segno di croce sulla fronte. Una funzione sacerdotale con piccoli gesti per rendere presente Gesù affianco al malato contagiato dal coronavirus”.
Un pensiero che si ritrova nella testimonianza di padre Loreto Fioravanti, cappellano ospedaliero al Policlinico Gemelli, felice di essere riuscito per la prima volta proprio a Pasqua a visitare con i suoi confratelli alcuni reparti Covid per pregare con loro attraverso l’interfono, “poi, con l’aiuto di alcuni operatori sanitari che in questa occasione sono diventati ministri straordinari dell’Eucarestia, la comunione è stata portata loro su una garzina”. Uno stravolgimento della normalità, fatto di visite personali e private per dialogare e pregare con ogni malato, che non ha fermato il desiderio di restare vicino attraverso modi diversi, come i messaggi consegnati ai malati in isolamento con sopra i numeri di telefono e il numero del “pronto soccorso spirituale Covid”, dedicato anche ai parenti provati da questo periodo difficile. “Questa epidemia credo che ci insegni a non perdere assolutamente tempo, a renderci conto che la vita va vissuta intensamente ogni giorno”, le parole di padre Fioravanti che ripete la sua disponibilità al dialogo con chi si trova nella sofferenza, ricordando le benedizioni delle salme all’esterno delle camere ardenti e le lacrime di chi non ha potuto vedere il suo congiunto prima che morisse, “c’è sempre bisogno della preghiera e della presenza del Signore nella nostra vita, e anche di qualche mediatore che alcune volte è il cappellano”.