“A data da destinarsi” non è soltanto un modo di dire; nel tempo particolare che stiamo attraversando, è diventato anche un modo di pensare. Perfino il periodo di efficacia,o di durata, dei provvedimenti che il governo, con cadenza quasi giornaliera, emette, vengono intesi indicativamente. I divieti di circolazione delle persone, la chiusura delle scuole, l’interruzione di un gran numero di attività e tutti gli altri provvedimenti restrittivi, benché debbano indicare, per legge, una data di validità, li intendiamo, di fatto, “sine die”, senza prevedere, cioè, il giorno di effettiva scadenza. Anche il campionato di calcio e le Olimpiadi hanno alzato le braccia: tutto sospeso,“a data da destinarsi”. Non solo i rappresentanti delle Istituzioni, ma noi tutti, ci troviamo nella impossibilità, considerata la natura di questa pandemia, di azzardare qualsiasi previsione temporale. Al punto chemolti di noi ritengono che, la conclusione di questa triste vicenda, debba intendersi talmente protratta nel tempo, da rinunciare a fare ogni programmazione per il futuro. Col passare dei giorni, ci stiamo convincendo che,per quest’anno, le scuole non riapriranno, che per quest’estate dobbiamo rinunciare ai viaggi programmati e che anche le date di taluni eventi della nostra vita già previste – cresime, prime comunioni, matrimoni e tanti altri- vadano “a data da destinarsi”.Se tutto questo, da una parte, fa trasparire un sano senso della realtà e, per noi cristiani, un benefico abbandono alla “volontà di Dio”, dall’altra, dobbiamo allontanare la tentazione di alzare le braccia e di pensare che tutto sia finito e che non valga più la pena di guardare avanti. Al contrario, questo è il momento favorevole per pensare a una completa revisione di vita che si concretizzi nel riordino delle cose da pensare e da fare in base al loro effettivo valore. Quanto spazio abbiamo dato e continuiamo a dare a tante cose inutili e, al contrario, quanta indifferenza e distrazione mostriamo rispetto alle cose e alle situazioni che, ancorché piccole e distanti da noi, contano davvero! La situazione di sofferenza che ci accomuna tutti in questo periodo, potrebbe, ad esempio, indurci a volgere il nostro sguardo anche verso chi è nell’indigenza: “Si incomincia a vedere gente che ha fame perché non può lavorare e non aveva un lavoro fisso”, ha sottolineato Papa Francesco. A questa revisione di mentalità, per altro verso, dovranno procedere anche e, soprattutto, i responsabili delle Istituzioni. I danni derivanti da comportamenti irresponsabili del passato sono sotto gli occhi di tutti. Non solo nell’ambito della sanità, dove le scelte sbagliate stanno presentando, nonostante gli esempi di eroismo di medici e infermieri, il conto, anche in termini di vite umane, ma in ogni altro settore politico, economico e sociale. Quando l’emergenza avrà termine, ci troveremo in una situazione simile a quella post-bellica. All’indomani della seconda guerra mondiale, l’Italia si presentava come un cumulo di macerie:un gran numero di case, scuole, industrie e edifici pubblici erano distrutti. Anche lo Stato doveva riorganizzarsi sotto ogni profilo: normativo e funzionale. Eppure, grazie al senso di responsabilità e solidarietà mostrato da tutte le forze politiche del tempo, si intraprese, anche con gli aiuti internazionali, un cammino che rimise in piedi l’Italia, a iniziare dalle fondamenta. Prima la Costituzione, l’indicazione, cioè, dei principi su cui si doveva fondare la nostra società, poi la ricostruzione delle industrie, quindi la riorganizzazione della struttura operativa dello Stato. Nel giro di qualche anno, il nostro Paese fu rimesso in piedi e conobbe, anche,un eccezionale e irrepetibile boom economico che portò concreti benefici a tutte le categorie sociali. Quando finirà l’emergenza coronavirus ci troveremo in una situazione altrettanto drammatica, anche se diversa sotto tanti profili. I nostri politici sapranno emulare lo spirito di solidarietà mostrato dalla classe dirigente di allora e dotare il Paese di quelle riforme in grado di dargli un volto più giusto e funzionale?È l’auspicio che, oggi, tutti vogliamo formulare.
(*) direttore “La Vita Diocesana” (Noto)