“Siamo una comunità di lavoro e lo stiamo sperimentando ogni giorno. C’è una risposta straordinaria della redazione, del personale amministrativo, dei tecnici e dei tipografi nei nostri quattro centri stampa”. “Avvenire” è una realtà produttiva – perché giornale, allegati e versione on line costituiscono ovviamente un “prodotto” – che “procede unita in una fase così difficile e complessa”. Marco Tarquinio, direttore del quotidiano di ispirazione cattolica, racconta al Sir il lavoro di questi giorni. Al momento si trova a Roma e rientrerà alla redazione centrale di Milano nel fine settimana. “Abbiamo ridotto al minimo, per ragioni precauzionali, le presenze in redazione e negli uffici mediante lo smart working, avendo però alle spalle una forte coesione tra di noi”. Smart working che, spiega Tarquinio, “diventa hard working, lavoro duro, perché occupa tutta la giornata” con l’obiettivo di fornire un’informazione “ampia e puntuale, oggi più che mai necessaria”.
Direttore, non basta “scrivere” il giornale, occorre farlo arrivare ai lettori. Problemi in tal senso? L’iniziativa di mettere a disposizione di tutti l’edizione digitale di Avvenire va in questa direzione?
In effetti tra le difficoltà che stiamo affrontando ci sono quelle relative al sistema di distribuzione postale, considerando i nostri 80mila abbonamenti. Infatti abbiamo lanciato una campagna di informazione rivolta ai lettori, comunicando che potrebbero verificarsi disfunzioni nella consegna del giornale, indipendenti sia dalla nostra volontà sia da quella di Poste italiane. Nel senso che ci sono centri di distribuzione che hanno registrato qualche caso di contagio, presunto o conclamato, altri sottoposti a sanificazione. Devo poi riconoscere che la rete delle edicole sta dando una risposta straordinaria, cui abbiamo reso omaggio sulle nostre pagine. Si tratta di un servizio di pubblica utilità da garantire soprattutto in questo momento. L’iniziativa della disponibilità del giornale on line ha una doppia motivazione. La prima, e principale, è che l’informazione è un pane essenziale, come gli altri pani di cui sentiamo la necessità e la mancanza: quello quotidiano e quello eucaristico, del quale sperimentiamo un forzato digiuno. Il giornale on line, con la libera fruibilità di notizie, vuole dunque essere un servizio che valorizza la diffusione di computer e smartphone in quasi tutte le case. È una scelta onerosa per il giornale, ma necessaria, sostenuta in pieno dall’editore.
L’informazione in una fase emergenziale come quella presente è, a suo avviso, più importante e necessaria?
Questo è un tempo di prova. Siamo a una svolta, dentro quel “cambiamento d’epoca” di cui ci ha parlato Papa Francesco. Una svolta in tanti settori della nostra vita – personale, familiare, comunitaria – e che riguarda anche il campo della comunicazione. Aggiungerei che qui si apprezza il ruolo del giornalismo di qualità: quello che non si limita a mettere in circolo delle notizie, ma offre dati verificati e immagini non isteriche, in una realtà che già abbonda di suo di punti esclamativi. Si tratta di aiutare a ragionare, per delineare i contorni della sfida che ci sta dinanzi e capire che abbiamo bisogno di grande umanità per affrontare una simile fase storica, nella quale l’egoismo non otterrebbe altro che isolamento e morte. Ciò vale per le persone, per le comunità locali, per gli Stati e per le organizzazioni internazionali. Ecco, in tale quadro si conferma come l’informazione si trovi ad una svolta. Abbiamo assistito, dall’inizio dell’epidemia, a degli “sbarellamenti” rissosi, con un giornalismo oscillante fra l’allarmismo cieco e l’invettiva faziosa. Invece tanti colleghi, fra cui quelli dei media cristianamente ispirati, stanno mettendo in campo un’informazione che vorrebbe aiutare a “leggere” i diversi risvolti della pandemia, a vederne i contorni italiani e internazionali. E a comprendere che non se ne esce da soli, ma insieme.
Lei riscontra quindi un tratto particolare del lavoro dei media cattolici?
Direi proprio di sì. È quello che stanno facendo l’agenzia Sir, Tv2000, Radio InBlu, i settimanali diocesani, lo stesso Avvenire. C’è la volontà di entrare nelle case della gente con una testimonianza professionale, umana e cristiana, di immenso valore. Non ci riteniamo migliori degli altri, ma mi pare che stiamo fornendo un’informazione “per” le persone, volta alla costruzione del bene comune, e che pone la persona al centro. In proposito si è fatta molta retorica: ora se ne dimostra la necessità, la concretezza.
Un parere sulle decisioni della politica italiana per fronteggiare la diffusione del Covid-19?
Mi pare che quando un governo afferma che prima viene la salute fisica e morale delle persone e poi viene tutto il resto, compresi i calcoli economici, siamo su una buona strada: servono azioni all’altezza dell’ostacolo da superare. Sono risposte in progress, che si vanno precisando, perché ovviamente non si è partiti sapendo tutto… Si sono commessi degli errori. Ma vedo una grande umiltà e duttilità, con il ritorno in scena di persone competenti, coloro che sanno di cosa parlano, dopo mesi e mesi di polemiche contro i “competenti”. Mi pare di riscontrare in Giuseppe Conte e nel governo questa volontà di muoversi con prudenza, mettendosi prima in ascolto della realtà per poi agire di conseguenza. Non dico che tutto è perfetto: piuttosto le decisioni per contrastare il coronavirus si vanno perfezionando. Mi auguro che ciò accada anche a livello europeo: dopo dichiarazioni improvvide e iniziative errate o in ritardo, c’è la possibilità di fare tesoro degli sbagli, perfezionando interventi costruttivi nella logica di cui parlavo prima del “nessuno si salva da solo”. L’Europa oggi rappresenta semmai una chance per mostrare come una vasta area integrata e coesa possa mettere in moto meccanismi di aiuto reciproco che portano vantaggi – economici, sociali, culturali – reciproci e per ogni cittadino europeo.