“La vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a fare altri progetti”. La frase è di John Lennon, ma deve averla pensata anche Mariateresa Gallea, giovane medico di 34 anni del padovano fino a oggi in “trincea” nella Zona rossa di Vo’ Euganeo, quando due settimane fa ha visualizzato un messaggio arrivato via WhatsApp dalla Federazione italiana dei medici di medicina generale del Veneto.
“Nel messaggio c’era scritto che a Vo’ Euganeo, un comune in provincia di Padova, non c’erano più medici operativi, in quanto tutti costretti all’isolamento precauzionale perché erano stati in contatto con persone positive al Coronavirus – racconta al Sir alla fine del suo servizio, i medici in quarantena torneranno a lavoro domani–. I 3.500 abitanti della città, per lo più anziani, erano rimasti senza medico. Era una domenica pomeriggio e il tempo a disposizione per decidere non era molto, un paio d’ore al massimo. Mi sono consultata con altri due colleghi con cui ho lavorato in passato, Paolo Simonato e Luca Sostini, ci siamo sostenuti a vicenda e senza pensarci troppo abbiamo deciso di partire per questa ‘esperienza’.
Lunedì mattina eravamo già operativi”.
A Vo’ Euganeo la situazione inizialmente era abbastanza gestibile, anche “grazie all’ottimo lavoro del servizio di guardia medica nel tranquillizzare e nel prendere in carico le richieste e i dubbi dei cittadini – spiega Gallea -. La popolazione stava eseguendo il tampone in massa e la maggior parte era negativa. Per questo diciamo le prime 72 ore sono state relativamente tranquille”.
Nel periodo successivo le cose si sono un po’ complicate.
“Oltre a un allarmismo sempre crescente, c’è inoltre una forte insofferenza verso la limitazione. Stare chiusi in casa per due settimane con tutto ciò che comporta dal punto di vista economico e relazionale sta rendendo la situazione sempre più pesante e insostenibile”.“Eravamo gli unici medici presenti – spiega – e abbiamo risolto tutto quello che potevamo risolvere senza gravare sul pronto soccorso. Ci siamo istituiti come figura sanitaria di riferimento e la popolazione ha contattato noi per qualsiasi problema di salute. Tutti avevano i nostri numeri e le nostre mail”.
Tuttavia, questo non sempre è bastato, “perché alle persone non bastano solo le rassicurazioni mediche”. “Tra i ricordi più forti di questa esperienza – confida – c’è la limitazione negli affetti. Non è bello vedere persone anziane che non riescono a vedere i figli perché fuori dalla Zona rossa.
La mancanza di avere vicino i propri cari crea delle problematiche anche di salute e ha dei risvolti anche sulla gestione delle persone. Molti anziani si trovano soli da giorni e spesso non sono autosufficienti”. In questo senso, conclude, “questa esperienza mi ha fatto capire ancor di più l’importanza e l’essenzialità dei rapporti umani”.