“Dopo la Questione sociale di fine Ottocento e la Questione antropologica posta nei decenni precedenti, oggi ci si apre una grande Questione politica: come ricostruire una grande grammatica del civile, della convivenza sostenibile, come illuminare quello spazio pubblico per delineare alcune regole a favore di un dialogo fruttuoso tra chi crede e chi non crede o è diversamente credente”.
È uno dei passaggi-chiave della riflessione che Roberto Rossini ha affidato al libro “Più giusto. Cattolici e nuove questioni sociali”, appena uscito per i tipi di Scholé, un marchio dell’Editrice Morcelliana. Rossini, che insegna sociologia ed è presidente nazionale delle Acli nonché portavoce dell’Alleanza contro la povertà, tratteggia
un’analisi della crisi che segmenta la nostra società lungo cinque linee di frattura: tra giovani e non giovani, tra maschi e femmine, tra chi ha e chi non ha, tra Nord e Sud, tra chi sa e chi non sa. Il segno complessivo è rappresentato da “forti disuguaglianze di opportunità” e dalla percezione collettiva che “il futuro non sarà migliore del passato”.
A partire da questa analisi, Rossini propone una ricognizione delle risorse (i “segnali di vita”) su cui la nostra società può contare per arginare e invertire i processi degenerativi e si sofferma in particolare sul ruolo che i cattolici possono e devono avere nell’affrontare quella Questione politica a cui riconducono tutti i fili della crisi.
“A noi cattolici – sostiene il presidente delle Acli – deve importare il saper connettere con metodo e pazienza le diverse esperienze che salvano la persona creando il bene comune,
alla luce dei grandi principi della solidarietà, della sussidiarietà”. Bisogna quindi
creare o contribuire a creare dei “movimenti connettivi” perché se “tutto è connesso, molto è diviso”.
Rossini si dice convinto che questo sia “un compito tagliato su misura per noi” e richiama il pensiero di un filosofo francese contemporaneo, Jean-Luc Marion, laddove egli afferma che oggi l’impegno dei cattolici dev’essere proprio il “ritrovare un universale che trascenda i conflitti particolari tra i gruppi, gli interessi, le ideologie e le identità contraddittorie per fondare un’alleanza, per rinnovare un patto, una grammatica di convivenza”. Tale visione universale, beninteso, “non può semplicemente consistere in una sommatoria, in un accostamento acritico di diverse visioni” e neppure nella riduzione “a una sola e unica visione”, ma richiede di “accettare con realismo l’esistenza di un pluralismo, purché si possano condividere alcuni punti di valore comune”.
È un’impresa di grande respiro e di carattere epocale, ma bisogna tenere conto che “costruire movimenti connettivi è un compito che si può realizzare a più a livelli: dal tenere insieme tutto ciò che contribuisce alla rinascita di un quartiere o di una città al creare nuove organizzazioni o tessere reti o alleanze per conseguire concreti obiettivi politici e sociali nazionali o internazionali; dal partecipare negli spazi pubblici con il patrimonio di idee della Dottrina sociale della Chiesa (che più si va avanti più sembra diventare fresco e attuale) al mettere a disposizione il patrimonio di risorse materiali e immateriali ereditate per fare ciò che è bene, ciò che è vero, ciò che è giusto”. Qui torna in primo piano il tema che dà il titolo al volume e percorre tutto lo sviluppo del testo. Rossini sottolinea infatti che
“qualunque movimento connettivo deve trovare la sua radice più forte nella giustizia”, perché “senza una forte spinta etica tutto si riduce a…etichetta”, mentre “è sempre la lotta contro le ingiustizie a scrivere la storia del mondo”.
Secondo il presidente delle Acli,“l’associazionismo cattolico e cristiano può sostenere questo sforzo grazie alla grande tradizione che ha nel saper agire attraverso la partecipazione popolare”, nell’essere esperto “di sociale e di comunità”. Ma per far questo deve “stare tra la gente, nelle piazze e nelle strade per scoprire insieme alle persone di questo tempo quale convivenza sia sostenibile”, “quali parole usare, quali immagini, quali eventi, quali reti”.
“Bisogna essere dei veri popolari per non essere populisti”,
sintetizza Rossini.