Ragazzo morto di anoressia. Cantelmi (psichiatra): “Implementare reti di intervento e studiare nuove terapie per forme resistenti”

Lorenzo Seminatore, 20 anni, è morto di anoressia il 3 febbraio a Torino. Domenica 16 i suoi genitori hanno lanciato un appello per evitare ad altre famiglie, se possibile, un calvario come il loro. "Occorre implementare reti di intervento sempre più efficaci, ma anche riconoscere che esistono alcune forme di anoressia ad oggi resistenti a qualsiasi trattamento", afferma lo psichiatra Tonino Cantelmi. Tuttavia "non bisogna arrendersi. Dobbiamo studiare ancora molto". E avverte: attenzione ai blog "pro-ana" che riescono a convincere le ragazzine che il canone estetico del corpo filiforme è la migliore scelta di vita

Straordinaria la compostezza di questi genitori. Il padre parla lentamente, scandendo le parole con voce profonda e pacata. La madre, impietrita dal dolore, sillaba parole pesanti come pietre. Perché se non c’è tragedia più grande della morte di un figlio, nulla può dire la crudeltà dell’assistere impotenti al progressivo spegnersi, per sua volontà, della creatura cui hai dato la vita, il tuo amore e ogni tua energia. Lorenzo Seminatore se n’è andato a 20 anni, ma aveva cominciato a consumarsi gradualmente in una sorta di lenta agonia già da quando ne aveva 14, sopraffatto ogni giorno di più da quel demone che si insinua strisciante facendoti odiare il cibo e il tuo corpo, mai abbastanza magro ed evanescente. Un ragazzo bello e sensibile il cui cuore si è fermato lo scorso 3 febbraio, ma la vicenda è venuta alla luce domenica 16 quando i genitori hanno deciso di rendere pubblica la loro tragedia lanciando un grido d’aiuto e un appello per evitare, se possibile, altri drammi simili al loro.
Purtroppo, spiega al Sir Tonino Cantelmi, professore di cyber-psicologia all’Università europea di Roma e presidente dell’Associazione psichiatri e psicologi cattolici (Aippc), “l’anoressia è una patologia grave e complessa che può anche condurre alla morte; noi riusciamo a curare la maggior parte dei pazienti che ne soffrono, ma alcuni non rispondono ad alcuna terapia”. Secondo stime del ministero della Salute, ogni anno si registrano nel nostro Paese 8-9 casi ogni 100mila donne e 1,4 nuovi casi ogni 100mila uomini, in un rapporto maschi / femmine di quasi 2 a 8. I disturbi del comportamento alimentare riguarderebbero dai 3 ai 4 milioni di italiani.

Nelle forme resistenti alle cure il tasso di mortalità si aggira tra il 5 e il 10 %.

Professor Cantelmi, che cos’è l’anoressia e da che cosa dipende?
E’ una patologia complessa, legata ad un grave disturbo dell’immagine corporea, che rientra nei disturbi del comportamento alimentare e consiste in una grave restrizione nell’assunzione del cibo, oppure nell’eliminazione ferrea del cibo assunto per arrivare ad una drastica perdita di peso. Diverse le cause: alcune di ordine genetico, biologico, costituzionale; altre di ordine più ambientale.

Chi colpisce in particolare?
A rischio sono soprattutto le adolescenti tra i 14 e i 16 anni ma aumentano i maschi e, anche se in percentuale minima, può esordire anche in bambini e bambine a partire dai 6- 8 anni. In alcuni casi, nonostante i migliori trattamenti, può purtroppo condurre alla morte. Un po’ come il cancro che malgrado i progressi della ricerca e l’aumento delle guarigioni, non è ancora stato del tutto sconfitto. In ogni caso, per la guarigione sono strategici la precocità e la qualità dell’intervento.

Precocità appunto: esistono segnali o campanelli d’allarme da non sottovalutare?
L’anoressia si manifesta in tutta la sua prepotenza, al di là dei tentativi di camuffamento mesi in atto dalle sue “vittime” che cominciano a manifestare un’attenzione esasperata per la quantità di cibo che assumono, per il loro peso e immagine fisica. E da qualche tempo, a renderla ancora più insidiosa si aggiunge un nuovo nemico contro il quale combattere.

Quale?
Una sorta di inquietante “sostegno sociale” alla magrezza estrema come forma di bellezza che si esprime in due forme, una più manifesta, una più subdola. Da un lato il mondo della moda; dall’altro i siti e i blog “pro ana” che reclutano ragazzine inneggiando all’anoressia, instaurando una specie di competizione e facendo passare quasi una normalizzazione di questa patologia. Le sfilate mandano in passerella modelle anoressiche o anoressizzate: uno scandalo che tutti facciamo finta di vedere-non vedere. Ne parliamo ma in realtà non si interviene. Quanto alle community in rete, nelle nostre strutture residenziali dobbiamo combattere con l’idea che una paziente anoressica ricoverata possa connettersi con questi blog da cui ricevere consigli per ingannare i terapeuti o riuscire a farsi dimettere più rapidamente. Influencer di riferimento presentano l’anoressia come la migliore scelta di vita possibile: una sorta di dea che richiede rituali e sacrifici in nome di un’adesione che dà forza, fa sentire padrone di sé e del proprio corpo, è simbolo di autocontrollo, dominio e libertà estrema.

I genitori di Lorenzo hanno lanciato un grido d’aiuto sottolineando la scarsità di strutture
In Italia esiste una buona rete di strutture – nella sola regione Lazio ne esistono tre accreditate – ma

la patologia è in fase di espansione e questo certamente richiede alla programmazione sanitaria uno sforzo in più.

Dovremmo senza dubbio fare di più, ma il punto credo sia riconoscere la gravità e la complessità oggettiva di alcune forme di anoressia resistenti a qualsiasi trattamento: farmacologico, psicoterapico e riabilitativo anche comunitario e residenziale.

E poi un ragazzo, una volta maggiorenne, può decidere di non curarsi
Questo vale per tutte le patologie psichiatriche. Gli strumenti coercitivi – essenzialmente il Tso (trattamento sanitario obbligatorio applicabile anche ai pazienti con anoressia) – sono regolati dalla legge. Purtroppo e per fortuna, perché questa norma costituisce una garanzia rispetto agli abusi, bilanciando in modo equilibrato garanzie di libertà del soggetto e, al tempo stesso, necessità di cura.

Che cosa si sente di dire ai genitori di Lorenzo?
Desidero esprimere vicinanza al loro dolore, assicurare loro che possiamo e dobbiamo incrementare e implementare reti di intervento sempre più efficaci – uno sforzo è già in corso – ma anche ribadire che purtroppo, in alcune circostanze e di fronte alle forme di anoressia più complesse e resistenti ai trattamenti siamo davvero disarmati.

Tuttavia non bisogna arrendersi. Dobbiamo studiare ancora molto.

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