I risultati elettorali in Emilia Romagna e Calabria: cosa cambia nella politica nazionale

Bonaccini ha avuto il 51,42% contro il 43,63% della leghista Lucia Borgonzoni, Santelli è arrivata a quota 55,43%, mentre Filippo Callipo, candidato del centro-sinistra, si è fermato molto più in basso, al 30,08%. La terza posizione è stata appannaggio del M5S sia in Emilia-Romagna che in Calabria

Stefano Bonaccini è stato confermato presidente in Emilia-Romagna, portando il centro-sinistra a vincere in quella che era diventata per scelta di Matteo Salvini una sfida sul piano nazionale; Jole Santelli, di Forza Italia, è stata eletta presidente in Calabria, guidando il centro-destra a riconquistare il governo regionale. In entrambi i casi il distacco tra primi e secondi è stato netto: Bonaccini ha avuto il 51,42% contro il 43,63% della leghista Lucia Borgonzoni, Santelli è arrivata a quota 55,43%, mentre Filippo Callipo, candidato del centro-sinistra, si è fermato molto più in basso, al 30,08%. La terza posizione è stata appannaggio del M5S sia in Emilia-Romagna che in Calabria: nella prima regione Simone Benini ha ottenuto il 3,48%, nella seconda Francesco Aiello ha ricevuto il 7,31% dei consensi, appena sopra il “civico” Carlo Tansi con il suo 7,18%.
Se dai candidati alla presidenza si passa alle liste, in Emilia-Romagna il Pd è risultato primo con il 34,69, seguito dalla Lega al 31,95%. Nel centro-sinistra la lista Bonaccini presidente ha avuto il 5,76%, la lista Emilia Romagna coraggiosa ecologista progressista il 3,77%, Europa verde l’1,95%, +Europa con Psi e Pri l’1,53%. Nel centro-destra Fratelli d’Italia ha ottenuto l’8,59%, Forza Italia il 2,56%, la Rete Civica Borgonzoni presidente l’1,73%. In Calabria il partito più votato, sia pure nella coalizione sconfitta, è stato il Pd con il 15,15%, seguito da Forza Italia (12,43%), con la Lega a un’incollatura (12,26%). Nel centro-destra i consensi si sono divisi in maniera molto articolata: FdI ha avuto il 10,81%, la lista Jole Santelli presidente l’8,53%, Libertas-Unione di centro il 6,81%, la Casa delle libertà il 6,43%. Nel centro-sinistra, dopo il Pd si è piazzata la lista Pippo Callipo presidente con il 7,84%, mentre i Democratici progressisti hanno preso il 6,17% dei voti.
Molto interessante il dato della partecipazione: in Emilia-Romagna è andato alle urne il 67,67% degli elettori, addirittura il 30% in più delle precedenti regionali; il dato della Calabria (44,32%) è in linea con la tornata del 2014 e con le più recenti elezioni europee.

Sul piano dell’analisi si possono abbozzare a caldo alcune osservazioni.

1) Riemerge con forza un bipolarismo centrodestra/centrosinistra, come già si era visto in altre elezioni locali anche se in misura assai meno evidente. E’ l’effetto della crisi che ha investito il M5S e ha ridimensionato drasticamente il tripolarismo uscito dalle elezioni politiche del 2018.
2) Il tentativo di Salvini di dare una spallata al governo giallo-rosso espugnando la roccaforte dell’Emilia Romagna è fallito. La campagna elettorale dai toni estremisti del leader della Lega alla fine non ha pagato. In futuro Salvini dovrà anche tenere conto non solo della posizione forte di Giorgia Meloni con FdI, ma anche del fatto che nel sud Forza Italia dimostra una tenuta molto più robusta del previsto.
3) Il risultato del centro-sinistra in Emilia Romagna si spiega in larga misura con la mobilitazione elettorale attivata dalle Sardine e dalla capacità attrattiva di Bonaccini che, grazie alla possibilità del “voto disgiunto”, ha conquistato il consenso anche di molti elettori fuori dai confini della sua coalizione. I primi studi dell’Istituto Cattaneo sui flussi elettorali confermano che per la presidenza molti elettori pentastellati hanno scelto il candidato del centro-sinistra. Sono elementi su cui Zingaretti e il gruppo dirigente del Pd dovranno riflettere, anche a fronte del dato fortemente negativo della Calabria.

4) Per il governo nazionale il risultato del voto in Emilia-Romagna rappresenta un elemento di stabilizzazione.

Anche il referendum costituzionale che renderà vigente il taglio dei parlamentari e la cui data dovrebbe essere indicata in settimana dal Consiglio dei ministri (probabilmente tra fine marzo e aprile) spinge nella stessa direzione: il taglio, infatti, rafforzerà la fisiologica resistenza di deputati e senatori in carica rispetto al rischio di elezioni anticipate e richiederà tutta una serie di passaggi tecnici tali da rendere difficilmente praticabile uno scioglimento delle Camere prima dell’estate. Si tratterà di vedere in che modo l’esecutivo riuscirà a riempire di contenuti il periodo di relativa stabilità che dovrebbe avere davanti.

Altri articoli in Italia

Italia