Georgiano morto a Gradisca: l’insostenibilità del sistema dei Centri di permanenza per il rimpatrio

In un Paese come il nostro in campagna elettorale perpetua, il tema delle migrazioni attende da decenni di essere affrontato mettendo da parte preconcetti e paure partendo dalla presa d’atto che stiamo parlando prima di tutti di persone: "Sono persone - ha ricordato Papa Francesco nell’omelia della messa dello scorso 8 luglio nel sesto anniversario della sua visita a Lampedusa - non si tratta solo di questioni sociali o migratorie! 'Non si tratta solo di migranti' nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata"

Sarà la magistratura ad individuare le responsabilità nella vicenda di Vakhtang Enukidze, il cittadino georgiano morto al Cpr di Gradisca d’Isonzo.
Il dato che balza agli occhi, però, ancora una volta è l’insostenibilità di un sistema che dovrebbe avere proprio in questi Centro di permanenza per il rimpatrio uno dei suoi punti di riferimento in tema di politiche di migrazione ed accoglienza e che invece è riuscito a trasformarli in uno di quei tragici “non-luoghi” così diffusi anche nei nostri territori.

I Cpr nascono come centri di detenzione amministrativa destinati ad ospitare persone non comunitarie che siano state rintracciate prive di documenti regolari di soggiorno oppure siano destinatarie di un provvedimento di espulsione dal nostro Paese (ed attendano quindi l’accertamento dell’identità e l’accettazione del ritorno nel Paese d’origine da parte di quelle autorità).

La permanenza, al loro interno, può durare sino a 180 giorni: il Garante nazionale per i detenuti ha più volte sottolineato che c’è ben poca differenza fra un Cpr ed i comuni istituti penitenziari.

Uomini che non sono riusciti a rinnovare il proprio permesso di soggiorno (magari perché il datore di lavoro li ha licenziati) accanto a chi, da pregiudicato, giunge al Cpr direttamente dal carcere dove era stato rinchiuso per scontare una pena: una miscela esplosiva le cui vittime sono quanti nel Cpr vengono detenuti ma anche coloro che in tali strutture si trovano, a vario titolo, a dover lavorare.

In un Paese come il nostro in campagna elettorale perpetua, il tema delle migrazioni attende da decenni di essere affrontato mettendo da parte preconcetti e paure partendo dalla presa d’atto che stiamo parlando prima di tutti di persone: “Sono persone – ha ricordato Papa Francesco nell’omelia della messa dello scorso 8 luglio nel sesto anniversario della sua visita a Lampedusa – non si tratta solo di questioni sociali o migratorie! ‘Non si tratta solo di migranti’ nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata”.
Cercare di ripartire da qui, potrebbe permettere di evitare il ripersi di quanto accaduto a Vakhtang ed a tanti altri che come lui in questi mesi, in questi anni hanno trovato la morte nei non-luoghi per migranti in tutto il nostro Paese.

(*) direttore di “Voce Isontina”

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