Hanno un ruolo fondamentale nella promozione della salute, nella prevenzione delle malattie e nell’assistenza sanitaria in ogni ambito. Effettuano vaccinazioni, somministrano farmaci, controllano pressione e glicemia, eseguono prelievi, assistono malati cronici e terminali in ospedale e a domicilio; spesso rappresentano il primo contatto del paziente con la struttura sanitaria eppure, nonostante l’aumento dei bisogni di assistenza legati alle cronicità, alle fragilità e all’invecchiamento della popolazione,
nel nostro Paese mancano all’appello circa 50mila infermieri.
Secondo l’Ocse, per ogni medico ne sarebbero necessari almeno tre per coprire h24 l’assistenza al paziente, ma in molte regioni italiane questo rapporto è di uno a due per sfiorare in alcune Asl addirittura la parità. Eppure “senza infermieri la sanità non può funzionare”, afferma al Sir Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche – circa 450mila iscritti), commentando positivamente l’istituzione da parte del ministro della Salute Roberto Speranza della Consulta permanente delle professioni sanitarie e sociosanitarie che si è insediata lo scorso 16 gennaio presso il dicastero di Lungotevere Ripa. “Un luogo di dialogo, ascolto e confronto tra medici, infermieri, farmacisti e professionisti della salute”, aveva detto il ministro firmando il decreto.
Intanto, nel 200° della nascita, il 12 maggio 1820 a Firenze, di Florence Nightingale, capostipite dell’infermieristica moderna, l’Oms accende i riflettori sulla professione proclamando il 2020 “Anno internazionale dell’infermiere e dell’ostetrica”. Ieri lo ha ricordato anche Papa Francesco al termine dell’Angelus, sottolineando che
“gli infermieri sono gli operatori sanitari più numerosi e più vicini agli ammalati, e le ostetriche compiono forse la più nobile tra le professioni. Preghiamo per tutti loro, perché possano svolgere al meglio il loro prezioso lavoro”.
L’Oms intanto lancia un allarme: senza seri investimenti e azioni radicali, entro il 2030 mancheranno nel mondo 9 milioni di operatori.
Mangiacavalli, qual è lo stato di salute della professione?
Per molti anni abbiamo parlato di valorizzare le competenze degli infermieri. Oggi che abbiamo fatto crescere la professione
è urgente costruire modelli organizzativi e assistenziali innovativi ed efficaci per i cittadini.
Ma per questo occorre ridisegnare ruoli e funzioni. Stiamo lavorando per uno sviluppo specialistico della nostra professione che nella realtà di fatto c’è già. Gli infermieri che lavorano nell’area urgenza-emergenza seguono corsi aggiuntivi importanti e fanno un continuo aggiornamento delle proprie competenze; altrettanto quelli che lavorano nelle cure palliative o sul territorio. È arrivato il momento di strutturare percorsi di formazione specialistica e conseguentemente programmare l’utilizzo di queste competenze avanzate all’interno del sistema sanitario valorizzando il ruolo degli infermieri per un nuovo approccio e nuove modalità di presa in carico dei bisogni dei cittadini.
La Fnopi denuncia la carenza di 50mila infermieri che con gli effetti di “Quota 100” potrebbero superare i 70mila. Come intervenire?
Molte strutture assistenziali sono già oggi in sofferenza per la carenza di infermieri e l’impossibilità di reperirli sul mercato. Per molti anni si è parlato di concorsi ma la questione è più sottile: da 10 anni il sistema sanitario pubblico assume con il contagocce a causa dei tetti di spesa per poi ricorrere, paradossalmente, a cooperative, società interinali, contratti libero professionali, contratti precari. Stiamo lavorando con i ministeri dell’Università e della Salute e con le regioni perché si arrivi al graduale incremento degli infermieri messi in formazione – nella laurea triennale e magistrale, entrambe a numero chiuso – chiedendo un aumento del 5-6% dei posti messi a bando. Avremmo bisogno mediamente di circa 20mila infermieri l’anno, mentre i posti messi a bando per le lauree triennali oscillano tra i 14 e i 16mila.
Quali attese dall’Anno internazionale?
L’Oms guarda al mondo e lancia un allarme: entro pochi anni potrebbero mancare diversi milioni di infermieri. Occorre dunque ragionare e programmare a livello globale e locale. Nel nostro piccolo, a livello nazionale,
auspico che l’Anno costituisca un’importante opportunità per sensibilizzare le istituzioni
con le quali dialoghiamo quotidianamente, rendendole più disponibili ad ascoltare e valutare le istanze che provengono dalla nostra professione, orientate a sviluppare un sistema socio-sanitario equo e appropriato per tutti i cittadini.
Se dovesse tracciare con pochi verbi l’identikit dell’infermiere, quali sceglierebbe?
Esserci; essere vicino al paziente in maniera competente e professionale; individuare i suoi bisogni, visibili e non manifesti; programmare una pianificazione assistenziale e una risposta scientifica, appropriata e competente a questi bisogni; strutturare reti relazionali; collaborare in équipe multiprofessionali.
Che cosa vi aspettate dalla neonata Consulta?
Che vengano valorizzate tutte le figure professionali impegnate nell’ambito della salute per avviare davvero tutti insieme, al fianco del ministro Speranza, un percorso di confronto e condivisone tra federazioni, dove tutti abbiano stessa dignità e stesso rilievo nella programmazione/realizzazione di percorsi di assistenza virtuosi, necessari alla crescita e allo sviluppo reale del nostro Ssn.
Che cosa è emerso dalla prima riunione del 16 gennaio?
L’importanza di definire con chiarezza il ruolo degli ordini dopo la legge 3/2018 e di lavorare su tre tracce fondamentali illustrate dal ministro, utili allo sviluppo del Ssn: rivedere i modelli di programmazione economica, il rapporto ospedale-territorio, e dare impulso alla sanità digitale. Altro tema rilevante su cui le professioni lavoreranno insieme è quello trasversale della formazione in un quadro di reale multidisciplinarietà.