Una “giornata “importante, per abbattere i muri dell’odio in ogni sua forma, riconoscersi fratelli, costruire un mondo migliore. La presentano così i due responsabili dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo la XXXI Giornata di approfondimento del dialogo tra ebrei e cristiani cattolici che quest’anno viene anticipata al 16 gennaio. Negli ultimi anni – spiega il direttore dell’Ufficio don Giuliano Savina – sul tavolo dell’amicizia e della fraternità sono stati aperti alcuni rotoli delle Meghillot. Nel 2020 verrà aperto quello del Cantico dei Cantici. “Ci auguriamo – aggiunge – che attorno a questi tavoli possano sedersi donne e uomini di generazioni diverse. Ci sta a cuore consegnare e trasmettere alle nuove generazioni i testi sacri dai quali e grazie ai quali conosciamo le nostre radici, e senza i quali la nostra civiltà non solo si impoverisce, ma rischia di essere in balia dei profeti di sventura che sono sempre pronti ad alzare la cresta”. Dai cori vergognosi negli stadi agli atti di vero e proprio vandalismo contro i luoghi di culto ebraici e della memoria. Savina è categorico: “l’indifferenza e l’ignoranza vanno combattute con tutte le nostre forze, a partire dalla corretta conoscenza dei testi delle Scritture”. Abbiamo intervistato mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.
Nel riproporre ogni anno questa “Giornata” cosa vi sta a cuore?
Vogliamo invitare le comunità a vivere e capire il mondo ebraico come una realtà di uomini e donne che sono in mezzo a noi e che vivono una lunga tradizione di fede che è all’origine della nostra fede cristiana. Gesù era ebreo a tutti gli effetti, come lo erano Maria, Giuseppe e gli apostoli. Siamo tutti – come disse Pio XI in tempi molto tragici – spiritualmente semiti.
Nella presentazione della Giornata, lei riporta dati allarmanti. Nel 2016 sono stati postati on line 382mila post antisemiti, 43,6 post all’ora, uno ogni 83 secondi. Di questi, 2.700 sono comparsi sui social network italiani. Si è anche calcolato che nel periodo di tempo 1-24 gennaio 2018, ci sono stati 23 post all’ora per un totale di 550 post al giorno che contenevano espressioni anti-semite e neo-naziste, 4.5 post all’ora e 108 post al giorno che negavano la Shoah. Lei parlava prima degli anni tragici di Pio XI. Stanno ritornando?
Spero di no perché spero che l’Europa abbia imparato la lezione del dramma della guerra: 70 milioni di morti, 6 milioni di ebrei sterminati, senza dimenticare che con loro furono uccisi anche 500mila zingari oltre agli oppositori politici, preti e tanti altri. Spero davvero che questa memoria sia viva ancora oggi ma averla viva oggi vuol dire anche preservarci dal ritornare ad una mentalità di esclusione dell’altro. L’antisemitismo non è altro che l’espressione più tragica di una forma di esclusione che diventa nella nostra società odio per lo straniero, insofferenza per l’immigrato, razzismo, scarto di chi è più debole, più povero, di chi è anziano.
Ce ne sono tante di esclusioni nel nostro mondo. Troppe.
Il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria. Cosa vorrebbe dire al mondo ebraico?
La memoria è fondamentale perché nella memoria noi ricordiamo il passato ma anche comprendiamo il presente in cui viviamo e diamo una prospettiva al nostro futuro. Noi oggi siamo un popolo di lamentosi, di gente che si sente vittima di un malessere che può anche essere giustificato, ma che fa nascere tante paure e ci rende nostalgici del passato.
La Memoria non è nostalgia.
La memoria è qualcosa che ti porti dentro e ti apre ad una maggiore comprensione per la sofferenza degli altri, il dolore del mondo, l’abbandono degli anziani, l’esclusione dei poveri. Ti fa capire che dobbiamo lottare per un futuro in cui vivere insieme gli uni con gli altri in maniera pacifica è possibile.
Cosa possono fare le tradizioni religiose del nostro Paese?
Indicherei due vie: l’incontro e l’amicizia. La prima è la via maestra: dobbiamo incontrarci per conoscerci e ascoltarci. La via dell’amicizia è via di dialogo e nel dialogo provare a costruire una cultura in cui nella differenza proviamo a capirci e aiutarci insieme a costruire una cultura pacifica nel mondo in cui siamo.