Migranti e decreto sicurezza

Palermo, città aperta ed accogliente? La società civile, “clima cambiato, iniziati episodi d’intolleranza”

Il decreto sicurezza e immigrazione, un linguaggio ostile ai migranti e alle differenze, la criminalizzazione delle Ong e la chiusura dei porti hanno prodotto cambiamenti sostanziali anche a Palermo, città storicamente aperta, accogliente e multiculturale. La voce della società civile che si ritrova nel quartiere Ballarò, dalla Caritas a tante realtà associative, è univoca nel riscontrare gli effetti negativi, a cominciare dai minori migranti buttati fuori dai centri.

(da Palermo) – La festa che va in scena sul palco dell’oratorio di San Nicolo all’Albergheria, nel centro storico di Palermo, a due passi dal mercato di Ballarò, è al tempo stesso allegra e mesta. Allegra perché i minori migranti soli che hanno frequentato i laboratori artistici e interculturali realizzati dall’associazione Cesie (Centro studi ed iniziative europeo), nell’ambito del progetto “Ragazzi harraga” del Ciai, hanno l’occasione di mostrare i frutti del proprio lavoro:  videoclip, performance teatrali, fotografie, concerti. E di ricevere un certificato di competenze, o “skill portfolio”, da allegare ai curriculum quando andranno a cercare un lavoro. Il progetto prevede di seguirne in totale 240. È una festa anche mesta perché,

per la prima volta in due anni, quasi la metà dei 60 ragazzi non ha completato il ciclo laboratoriale.

Roberta Lo Bianco

La ragione? “I neomaggiorenni sono stati sbattuti fuori dai centri di accoglienza per effetto del decreto sicurezza – spiega Roberta Lo Bianco, del Cesie -. Quindi

la loro priorità è ora quella di cercare un tetto, di trovare un modo per sopravvivere.

Molti sono stati trasferiti, altri hanno avuto un diniego, alcuni sono riusciti ad arrivare in Spagna e Germania o sono stati accolti da Biagio Conte a Palermo”. Non solo… L’impatto della normativa, di mesi e mesi di criminalizzazione della solidarietà, di falsi messaggi sulle migrazioni che distorcono la realtà, ha prodotto qualcosa di peggio a livello sociale:

“Fino a sei mesi fa Palermo era una città aperta e solidale, con una società civile capace di valorizzare la ricchezza delle differenze, con una bellissima mescolanza di culture,

soprattutto al centro storico. Dopo alcune scelte governative

sono cominciati gli atteggiamenti razzisti, gli episodi di intolleranza e tensione,

anche nei confronti dei giovani che seguiamo”. A luglio due ragazzi del Ghana e della Guinea sono stati aggrediti da un gruppo di adolescenti mentre andavano a ritirare il diploma di terza media nella zona di Villagrazia.

Peggiorato il clima culturale. Che il clima culturale sia cambiato in peggio se ne stanno accorgendo a proprie spese tutti gli operatori sociali.

Il quartiere Ballarò è considerato un po’ la cittadella della solidarietà e dell’attivismo civico dei palermitani impegnati.

Qui c’è il complesso di Santa Chiara e l’oratorio dei salesiani, la sede della Caritas diocesana di Palermo, la parrocchia di San Nicolò, il ristorante-impresa sociale “Moltivolti” con soci immigrati e italiani e il co-working di tante associazioni che elaborano strategie e progetti.

Qui è nata anche l’idea di lanciare l’iniziativa “Mediterranea Saving humans”, una piattaforma di realtà della società civile nata in seguito alla criminalizzazione delle Ong che le ha costrette a ritirarsi. Mediterranea porta avanti un’azione di “disobbedienza morale ma obbedienza civile” per testimoniare ciò che accade nel Mediterraneo centrale: grazie ad un prestito di Banca Etica e ad un sorprendente crowdfunding che ha raccolto finora quasi 400.000 euro (l’obiettivo è arrivare a 700.000 euro) è stata messa in mare una piccola nave battente bandiera italiana, la nave Jonio, per denunciare ciò che accade e soccorrere chiunque rischi di morire.

Anna Cullotta

Grande impegno civico e collaborazione. La caratteristica della società civile palermitana è che tutti collaborano con tutti per gli obiettivi comuni, avendo chiara la propria identità e i valori. Fino a un anno fa si ritrovavano sulle banchine del porto per dare assistenza agli sbarcati. Poi con la chiusura dei porti la cittadinanza ha reagito con smarrimento. Molti si chiedevano “e ora dove andranno a finire questi poveretti, dove li porteranno?”. Ma dopo una serie di messaggi criminalizzanti mai confermati da riscontri reali, la situazione si è ribaltata. “Ora il pregiudizio c’è – osserva Anna Cullotta, dell’ufficio promozione umana di Caritas Palermo -. Secondo la gente se un ministro o un giudice fa un’affermazione forte, a maggior ragione in tv, diventa un fatto quasi indiscutibile”.

“E anche se poi le dichiarazioni vengono smentite, il tarlo rimane”.

Cullotta, che è anche psicoterapeuta, spiega quanto la paura tocchi “corde personali e familiari presenti in ciascuno di noi, chi più, chi meno”.

“Nell’attuale congiuntura socio-economica, il capro espiatorio dei migranti ha un effetto quasi magico. Il linguaggio è riuscito a fare scempio”.

Per la Chiesa di Palermo la sfida di “nutrire” le comunità. Anche per la Chiesa di Palermo, dunque, la sfida è lavorare per smontare pregiudizi e falsità e “nutrire la sensibilità delle comunità”. L’arcivescovo Corrado Lorefice, durante l’ultima festa patronale di Santa Rosalia, si è espresso in maniera decisa e chiara: “Noi che sappiamo che cosa vuol dire essere migranti. Noi che abbiamo visto i nostri padri e i nostri nonni costretti a lasciare la loro casa, rifiutati, umiliati, buttati fuori da case e locali perché siciliani, perché italiani. Noi sappiamo e non tacciamo”. Purtroppo gli effetti del decreto sicurezza e immigrazione si sono fatti sentire anche in Caritas, che tra i vari servizi gestisce anche un Centro d’ascolto diocesano che segue decine di famiglie del quartiere; gli immigrati sono oramai alla terza generazione.

Nella sala d’attesa ci sono due mamme africane con bimbi piccoli, chiedono scarpe per i figli. “Li aiutiamo a pagare le bollette o a trovare un lavoro, forniamo medicine, assistenza sanitaria, seguiamo le vittime di tratta e i giovani con problemi di salute mentale”.

“Negli ultimi tempi ci chiamano per dare alloggio ai ragazzi buttati fuori dai centri. Nessuno affitta loro case perché non hanno più i permessi umanitari. Non possiamo lasciarli dormire in strada”.

La Caritas ha una struttura con 25 posti letto e una mensa dove mangiano a turni di 50 nella zona della stazione centrale. “Ora apriremo altre realtà di accoglienza, perché i posti non sono sufficienti. E non permettiamo di dire a nessuno che noi aiutiamo solo i migranti: la nostra priorità sono le persone”.

Intanto nell’oratorio di San Nicolò la serata prosegue con le testimonianze dei ragazzi “harraga” (in arabo sono quelli che bruciano le frontiere, disposti a tutto pur di migrare). “Palermo è una città meravigliosa e noi la amiamo”, dicono, ringraziando per le opportunità “e per far capire alla gente chi siamo. Le cose brutte succedono per mancanza di conoscenza, perché pensano che siamo pericolosi”. Nella sala non ci sono razze, non ci sono differenze, c’è solo tanto affetto, abbracci e sorrisi.

“Qui c’è una grande cultura aperta che si sta costruendo insieme, spazzando via anche il discorso interculturale”.

“Quanto è stupida una società che non riesce a fare tesoro di tutta questa ricchezza che viene a svecchiarci?”, sottolineano dal palco. “Una comunità fatta di tanti colori dovrebbe essere la cosa più naturale del mondo”, afferma il fotografo Gianfranco Ferraro, che ha realizzato il documentario “Signor sindaco” su Mimmo Lucano e l’esperienza modello di Riace, raccontata come fosse una fiaba: “Anche se per Riace ha dato l’anima ora Lucano sta attraversando uno dei momenti più brutti della sua vita. Mi auguro che la sua storia diventi un simbolo, perché non bisogna chiudere la porta della speranza a nessuno. Stringiamo i denti e andiamo avanti”. Parola d’ordine: resistere.