Dopo il crollo, guardando al futuro

Prevale la tristezza, ma la città si rialzi. Genova, sii Superba ancora una volta

Il Ponte Morandi, che oggi si è abbattuto sulle case, è dagli anni ’60 un’arteria di traffico essenziale per il capoluogo ligure. Ma ha sempre fatto un po’ paura a noi genovesi…

Per noi genovesi era il “Ponte di Brooklyn”: lo chiamavamo così un po’ per orgoglio, essendo un ponte mastodontico per quello che è il nostro territorio, lungo 1.200 metri, alto 45, con piloni che arrivano a 90, e un po’ per autoironia, perché era l’unico collegamento con il ponente a livello autostradale. Non ne abbiamo altri.
Chi abita a Genova il Ponte Morandi lo conosce bene: sull’autostrada A10 serve per “andare a ponente”, al mare, al terminal traghetti e all’aeroporto. Progettato negli anni ‘60, è conosciuto soprattutto dagli abitanti della popolosa Val Polcevera; affollate e frequentate strade e la ferrovia ci passano sotto, molte abitazioni sorgono lì vicino, quasi attaccate; e, visto da sotto, il Ponte Morandi ha sempre fatto un po’ paura: mastodontico, altissimo. Sempre lì sotto ci lavora un sacco di gente: qui sorgono molte aziende, tra cui Amiu, Ansaldo, Ikea.
Tutti noi genovesi, appena appresa la notizia del crollo di martedì 14 agosto, abbiamo pensato: “Ci sono passato mille volte su quel ponte”: ognuno di noi, o per lavoro, o per vacanza, o per raggiungere l’aeroporto, o per andare a trovare i parenti che stanno dall’altra parte della città, ci è passato davvero tante volte. Tutti con lo stesso pensiero: “Speriamo non ci sia coda oggi sul ponte, non ci passo volentieri e in tranquillità”.
Mentre scrivo, le vittime accertate nel crollo sono circa 20, i soccorsi stanno lavorando senza sosta da ore per cercare di salvare chi è ferito o ancora disperso; ovviamente e inevitabilmente ci sarà il tempo (come ogni volta in cui succedono queste tragedie) delle polemiche, delle colpe, delle accuse, delle parole di circostanza, del “io lo avevo detto”, del “perché non si è fatto nulla”, del “eppure si sapeva che prima o poi sarebbe successo”.
In questo momento però a Genova siamo tutti col “magone” in gola: siamo davvero increduli, sbigottiti, amareggiati; ci sentiamo deboli, fragili e impotenti. E mentre i telefonini squillano e riceviamo e inviamo messaggini con scritto ai nostri cari e ai nostri amici: “State bene?”, “Io tutto ok, sono a casa”, il pensiero va a chi quel messaggino non lo può più né inviare né ricevere.
E non rimane che fare nostre le parole di speranza del nostro arcivescovo, cardinale Angelo Bagnasco, in cui, ricordando la forza e la dignità dimostrate dalla città durante le diverse alluvioni e nella tragedia del crollo della Torre Piloti al Molo Giano, auspica che “Genova si risollevi dal lutto e dal dolore di questo giorno, consolidando la solidarietà, il senso di responsabilità e di impegno concreto, che esprimono la sua anima e di cui in tante circostanze è stata capace”.
Genova, sii Superba. Ancora una volta!