“Connessi e solitari”

Media digitali. Mons. Viganò (SpC): “La paura di essere svelati è superata dal narcisismo di essere notati”

Il prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario E. Viganò, nel suo ultimo libro “Connessi e solitari” parla del nostro modo di vivere online, tra opportunità e smarrimenti

L’ultimo Rapporto Censis ha sottolineato come in Italia il 64,8% della popolazione usi uno smartphone, mentre il dato per i giovani (14-29 anni) è all’89,4%. A scambiare messaggi, file audio-video via WhatsApp sono più della metà degli italiani (61,3%), mentre i giovani sono quasi la totalità con l’89,4%. Ancora, la metà della popolazione ha un account Facebook (56,2%) e utilizza YouTube (46,8%), gli under 30 raggiungono vette rispettivamente dell’89,3% e del 73,9%. Ma cosa ci dicono questi numeri? Qual è il nostro rapporto con i media e quanto il loro utilizzo incide sulla qualità delle nostre relazioni? A questa domanda ha dato una risposta nel suo ultimo libro mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria della Comunicazione della Santa Sede (SpC) e professore ordinario di teologia della comunicazione. “Connessi e solitari. Di cosa ci priva la vita online” è un testo breve e agile – rientra nella collana Lampi Edb –, una suggestione che mette a fuoco la tendenza oggi ad abitare in maniera irrefrenabile la Rete, con il rischio di smarrire relazioni autentiche. Il Sir ha intervistato il prefetto vaticano.

Mons. Viganò, “Connessi e solitari” è un titolo che fotografa bene il nostro vivere nella dimensione sociale con i media. Siamo davvero così dispersi nei media digitali?
L’antico adagio di Umberto Eco, “apocalittici o integrati”, con l’avvento esponenziale dei media digitali, è ritornato con virulenza a farsi sentire. Del resto l’attuale cultura digitale profila un quadro che risente di preoccupazioni di carattere pedagogico-educativo. Si è passati nell’epoca dei media tradizionali dalla domanda “cosa fanno i media alla società?” al quesito “cosa la società può fare con i media?”. Oggigiorno, però, lo scenario è mutato, media e società infatti non sono più polarizzazioni contrapposte, bensì la medesima cosa. È necessario allora assumere una prospettiva diversa che non sia tecnocratica ma antropologica, che non metta al centro le questioni tecnologiche ma un muovo modello di umanità.

Tra “apocalittici o integrati”, pertanto, direi che siamo piuttosto “consapevoli” dei cambiamenti profondi che i media digitali hanno introdotto e continuano a rilasciare nel nostro vivere quotidiano, ma siamo anche capaci di coglierne sfide e prospettive, perché l’umanità mediale possa sempre più esprimersi in termini di umanità in pienezza.

Come poter abitare con efficacia i media senza però far venir meno l’incontro, la prossimità?
I media di fatto fanno parte della nostra esistenza quotidiana, ne scandiscono i ritmi, ne rappresentano persino l’architettura portante e la categoria ermeneutica. La loro presenza ci mette a disposizione opportunità incredibili, ma il prezzo da pagare è piuttosto elevato in termini di umanità. Occorre quindi compiere uno sforzo per recuperare le relazioni in presenza, la conversazione vis-à-vis, come riconosce bene la sociologa Sherry Turkle, ritrovando un dialogo attento e presente con l’altro.

Non possiamo farci sedurre dall’idea di una vita in solitudine. È un falso mito.

Come ricorda Papa Francesco, i legami, il valore dell’amicizia sono fondamentali per l’uomo: “Di fatto l’atteggiamento di Dio verso il suo popolo è permeato di affetto paterno, naturalmente, ma anche di amicizia. Non so come possiamo interpretare il fatto che Dio parla a Mosè faccia a faccia, come un amico parla a un altro amico. Cioè: Dio amico di Mosè! Quella capacità di confidargli tutto, i suoi piani, quello che avrebbe fatto”.

I media digitali offrono indubbie opportunità per il business, pensando anche ai giovani e al mercato delle startup. Esiste però anche il rovescio della medaglia…
È vero, il fermento di startup ha offerto sinora spiragli di possibilità per i giovani, bloccati in un mercato del lavoro il più delle volte limitante o del tutto respingente nei loro confronti. Esiste però anche un aspetto problematico. Oggi, ad esempio, siamo abituati a compiere acquisti online, a redigere contratti senza il bisogno di interlocutori, arrivando persino a descrivere come obsoleta la relazione faccia a faccia con un esperto. Di più, ci esponiamo a rischi enormi quando per ottenere servizi ci spingiamo a cedere ad agenzie i dati personali, i nostri orientamenti in fatto di consumi. Basta avere, infatti, uno spazio Wi-Fi free, che siamo disposti a inserire la nostra mail, che è molto di più di un indirizzo di posta elettronica. Siamo osservati e osservatori, attori e spettatori di un gioco che prevede, come nei videogame, strategie di controllo strumentale e macchinazione, di sorveglianza. Come riconosce del resto il semiologo Ruggero Eugeni, c’è “una sottomissione pagante e appagante ai sistemi di controllo”. Un tempo si temeva di essere osservati, lo si viveva come una sorta di incubo, oggi invece ci auguriamo di essere guardati, perché temiamo di essere abbandonati, ignorati, negati, esclusi.

La paura di essere svelati è superata dal narcisismo di essere notati.

Sul fronte Chiesa e digital media, guidando la riforma della Santa Sede su incarico di Papa Francesco, qual è il lavoro che state attuando sul fronte dei social?
La riforma dei media ha come obiettivo dal 2015, anno della nascita della SpC per volontà di Papa Francesco, quello di ridisegnare non i media ma il sistema comunicativo della Santa Sede, attraverso un processo di

convergenza e ripensamento.

Il Papa è stato chiaro nella prima Plenaria della SpC: “Riforma non è imbiancare un po’ le cose: riforma è dare un’altra forma alle cose”. Siamo chiamati dunque a giocarci nel cambiamento e nella sperimentazione. Ne è prova l’ingresso ad esempio del Santo Padre su Instagram, dopo il consolidato account @Pontifex su Twitter, che vanta 9 lingue e oltre 40 milioni di follower. Stiamo per concludere inoltre la fase di test, di riscontro, relativa al nuovo portale unico della Segreteria, che vedrà probabilmente la luce tra la fine dell’anno e l’inizio del 2018.

La recente ricerca elaborata dal Centro X.Ite Luiss ha evidenziato l’ottimo lavoro della riforma sinora condotto. Quali sono le prossime tappe?
Lo studio del Centro X.Ite della Luiss ci ha fornito un riscontro positivo sullo stato della riforma, sull’impostazione che abbiamo adottato, naturalmente riferendoci ad alcuni modelli di management che abbiamo studiato. In vista del nuovo portale di informazione della Santa Sede abbiamo reimpostato, con sollecita adesione dei nostri redattori, le modalità di lavoro, costituendo un pool unico di redazioni, un grande content hub, per favorire così il lavoro in team e valorizzare le varie competenze. Ancora: l’accordo voluto e siglato tra SpC e Compagnia di Gesù rientra in quella logica di un radicale cambiamento e ripensamento delle modalità di servizio, che vanno dall’affidamento alla condivisione di un progetto unitario, stile sottolineato anche dalla Segreteria di Stato che indica il modello della nuova convenzione come riferimento per altre eventuali e ulteriori convenzioni. In questi mesi ci stiamo confrontando anche con il settore dell’editoria che si arricchisce ad esempio alla Lev dell’esperienza e dello sguardo innovativo di fra Giulio Cesareo, conventuale formatosi tra l’Università Gregoriana di Roma e quella di Friburgo in Svizzera.