Nel marzo di 30 anni fa scoppiava la guerra in Bosnia, uno dei capitoli più sanguinosi dei conflitti nella ex Jugoslavia (1991-1995). In quegli anni furono migliaia i volontari italiani che presero parte alle missioni umanitarie in favore delle popolazioni colpite dalla guerra, in qualche caso pagando anche con il sangue il loro impegno per la pace. L’Italia ha sempre vantato ottimi rapporti con la Bosnia (Bih) al punto di essere stata tra i primi membri della Comunità Internazionale ad aprire la propria Ambasciata a Sarajevo il 6 novembre 1996. Dall’aprile 1994 il nostro Paese era già presente sul territorio bosniaco con una prima rappresentanza diplomatica (nella forma di Delegazione Diplomatica Speciale). Ma Italia e Bosnia Erzegovina possono vantare ben 159 anni di relazioni diplomatiche poiché il primo Consolato Generale d’Italia a Sarajevo fu aperto il 20 giugno 1863. “L’Italia oggi è tra i più convinti sostenitori del percorso di integrazione euro-atlantica del Paese balcanico” dichiara l’ambasciatore di Italia in Bosnia, Marco Di Ruzza, che il Sir ha incontrato a Sarajevo.
Ambasciatore, come si possono definire le relazioni tra Italia e Bosnia?
Direi, eccellenti. Il perimetro balcanico-adriatico è da sempre tra le direttrici prioritarie della nostra politica estera e anche con la Bosnia-Erzegovina l’Italia intrattiene relazioni cooperative assai dinamiche e fruttuose. Il dialogo politico di alto livello è andato ultimamente intensificandosi, grazie alla missione a Sarajevo del Sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, svoltasi il 10-11 febbraio scorsi. In uno scenario politico, come quello bosniaco-erzegovese, purtroppo ancora costellato di gravi tensioni interetniche complice un processo di riconciliazione mai del tutto compiutosi dopo gli Accordi di Dayton, l’Italia viene qui molto apprezzata per la sua azione costruttiva ed inclusiva: un approccio, cioè, che cerca di interloquire con tutti gli attori più rilevanti per contribuire al rilancio del dialogo. A questo si aggiunge che i rapporti economico-commerciali tra i due Paesi sono in perfetta forma ed evidenziano un significativo trend di crescita. Nel 2021 l’Italia è stato il primo Paese esportatore in BiH in senso assoluto, scavalcando la Germania, e il secondo partner commerciale complessivo. Come Ambasciata stiamo sostenendo un progetto proteso a creare, per la prima volta, una piattaforma di aggregazione delle nostre imprese in base ad un modello camerale. Presenteremo a breve la neo-costituita associazione con un evento pubblico. È un’iniziativa cui teniamo molto in quanto può creare straordinarie sinergie tra i nostri operatori economici, rafforzando al contempo la complessiva proiezione del Sistema Paese in BiH.
Per quanto riguarda i rapporti culturali, qual è l’impegno del nostro Paese?
Anche in questo settore siamo tra i principali partner della Bosnia-Erzegovina. Cerchiamo di appagare la spiccata propensione del pubblico bosniaco-erzegovese verso la nostra cultura e, in generale, il Made in Italy con una ricca programmazione di eventi ed iniziative promozionali. Le grandi rassegne tematiche da noi dedicate alla lingua, al design, alla cucina, al cinema italiani, riscuotono notevole successo e beneficiano di ampia visibilità mediatica. Abbiamo strette collaborazioni con la televisione nazionale di BiH e con un circuito di emittenti radiofoniche private, gravitanti su Radio Sarajevo, cosa che ci consente un’azione capillare di valorizzazione della cultura italiana su tutto il territorio del Paese. Ultimamente, poi, siamo riusciti a ridare linfa – favorendo l’accordo tra il Cantone e la Città di Sarajevo – al progetto del Museo di Arte Contemporanea “Ars Aevi” secondo il modello disegnato da Renzo Piano, prestigiosa e conosciutissima iniziativa di rinascita culturale post-guerra, che era ferma da lunghissimo tempo. Con il sostegno della nostra Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) finanzieremo la progettazione esecutiva del Museo, snodo fondamentale per l’avvio dei lavori, in tal modo dando un ulteriore tocco di italianità a un progetto che ci ha visto sin dall’inizio nel ruolo di protagonisti. Segnalo infine che, per accrescere ulteriormente la nostra presenza culturale in BiH, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale ha programmato di aprire a Sarajevo un Istituto italiano di Cultura, iniziativa che conferirà ulteriore slancio alle relazioni culturali bilaterali.
Investire in cultura significa anche puntare su percorsi di dialogo e di riconciliazione, mai così urgenti in una Bosnia che fatica a guarire dalle ferite della guerra…
Investire in cultura vuol dire non solo cementare l’amicizia tra l’Italia e la BiH ma anche contribuire ai percorsi di riconciliazione e dialogo interetnico, dunque costruire ponti in un Paese ancora troppo frammentato. Con questo stesso spirito sosteniamo, tramite l’Aics, alcune iniziative come la “Via Dinarica”, realizzata insieme all’Undp, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, con cui incoraggiamo un turismo dinamico e sostenibile per favorire la valorizzazione delle meraviglie naturali della BiH e contribuire al contempo alla crescita economica della BiH. Con Undp abbiamo avviato un altro importante progetto, denominato “Bridge – Building relations for intercultural dialogue in Bosnia and Herzegovina”, che intende investire nel dialogo interculturale per colmare le distanze sociali tra le diverse comunità nel Paese, coinvolgendo in particolare i più giovani. La stessa Undp è anche nostra partner in un’altra iniziativa, alla quale teniamo molto, ossia la “Rete Verde”, una piattaforma che abbiamo creato con associazioni e ong impegnate in progetti di protezione e valorizzazione ambientale.
Esattamente 30 anni fa scoppiava la guerra in Bosnia. Quali azioni concrete e quali politiche il nostro Paese ha messo in campo per aiutare il Paese a ricostruirsi nel post-guerra?
Oltre all’impegno sul piano della collaborazione politica, sono stato direttamente testimone di numerosi accordi sottoscritti con la BiH per incoraggiare flussi commerciali, investimenti, collaborazione nel settore della navigazione marittima. Nel 2000, quando – proprio come ora – avevamo la Presidenza del Consiglio d’Europa, abbiamo fattivamente sostenuto l’ingresso della BiH nell’organizzazione. Va poi ricordato lo straordinario impegno della Cooperazione italiana per la ricostruzione post-conflitto: innumerevoli le iniziative e poderoso lo sforzo finanziario messo in campo, anche attraverso il terzo settore – qui importantissimo – così come con la cooperazione decentrata, fenomeno che ha visto molte Regioni ed enti territoriali italiani artefici di grandi progetti solidali in collaborazione con partner locali. Ricordo che, alla fine del conflitto, allo scopo di dare continuità all’azione intrapresa in Bosnia-Erzegovina nella fase emergenziale, la Cooperazione italiana decise di promuovere l’iniziativa dell’“Atlante” (Atlante della cooperazione decentrata dello sviluppo umano), per favorire e sviluppare “gemellaggi” tra una miriade di soggetti locali italiani e bosniaco-erzegovesi e il mondo dell’associazionismo: l’iniziativa dell’Atlante vide coinvolti, sul versante italiano, 30 Comuni, l’ANCI Toscana e la Regione Toscana; sul versante bosniaco, 22 municipalità, delle quali 6 nella Republika Srpska e 16 nella Federazione di Bosnia Erzegovina. Rammento che l’Italia è stata – tra i vari donatori coinvolti – il Paese che ha contribuito in misura maggiore alla ricostruzione del Ponte di Mostar, patrimonio Unesco, distrutto nel novembre 1992 e riaperto nel luglio 2004 con una suggestiva cerimonia internazionale alla presenza anche del Presidente Ciampi.
La società civile italiana, nelle sue varie componenti, così come la Chiesa italiana, sono state sempre presenti e attive in Bosnia sin dallo scoppio della guerra. Con quali ricadute nella società bosniaca?
La società civile è una componente fondamentale della presenza italiana nel Paese, di cui andare davvero orgogliosi. L’Italia è circondata in BiH da sentimenti di stima e affetto anche grazie alla ricchezza delle iniziative sociali ed umanitarie promosse da nostre Ong, qui attive dai tempi della guerra e progressivamente divenute attori imprescindibili del tessuto locale. Mi riferisco, ad esempio, a Caritas, Ipsia, Croce Rossa, che forniscono un contributo straordinario alle politiche di accoglienza dei migranti (prezioso, in tale ambito, il loro operato nell’ambito del Centro di Lipa). Penso al Cisp, Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli, molto attivo in progetti votati al turismo sostenibile e allo sviluppo rurale. Citazione particolare merita anche Re.Te, che sta seguendo come capofila un progetto di grande rilievo, finanziato dall’Aics, ossia il programma di screening mammografico presso il Cantone di Zenica-Doboj. Tra i partner storici di questa iniziativa vi è anche la Regione Piemonte che vanta un accordo di cooperazione con quel Cantone già dal 1995, chiaro esempio di cooperazione decentrata.
In che modo l’Italia sostiene il cammino di allargamento Ue nei Balcani e di integrazione europea della Bosnia-Erzegovina?
In ambito Ue il nostro Paese è senza dubbio tra quelli maggiormente consapevoli della necessità di una rivitalizzazione seria e credibile del processo di allargamento. Voglio ricordare, a tale riguardo, la Risoluzione n. 8-00136, approvata all’unanimità lo scorso settembre dalla Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, che ha riaffermato tale impegno e richiesto al Governo di agire di conseguenza. L’Italia si sta dunque adoperando, in ogni opportuna sede, per dare nuovo impulso sul piano politico ed economico alle prospettive di integrazione europea dei Balcani occidentali. Temiamo che ulteriori ritardi, a ormai quasi diciannove anni dal Consiglio Europeo di Salonicco, possano ingenerare sentimenti di sfiducia e disaffezione nei confronti dell’Ue da parte delle popolazioni interessate, specie tra le nuove generazioni, favorendo pericolose pulsioni nazionaliste e penetrazioni nell’area da parte di attori terzi. L’attenzione ai più giovani e alla società civile è una caratteristica distintiva dell’approccio italiano, basti ricordare che, su iniziativa del Ministro Di Maio, lo scorso novembre è stato organizzato a Roma il Forum dei Giovani UE-Balcani, che ha dato a giovani provenienti da tutto il continente l’opportunità di discutere di temi di comune interesse, portando nuove prospettive sull’integrazione Ue-Balcani. I risultati più salienti di questo esercizio saranno presentati alla Conferenza sul futuro dell’Europa.
Come procede il cammino di avvicinamento all’Ue della Bih?
Il cammino di avvicinamento all’Ue della Bosnia-Erzegovina, inutile nasconderlo, procede purtroppo a rilento anche per via della grave crisi politico-istituzionale che sta attanagliando il Paese dalla scorsa estate e della quale è conseguenza il blocco, o comunque l’inefficace funzionamento, delle istituzioni a livello centrale. Non è la prima volta che si produce un tale corto circuito nel sistema politico locale, ma probabilmente è la crisi piu’ seria e preoccupante maturata dagli Accordi di Dayton. È fondamentale che il Paese si ricompatti e si reimmetta sollecitamente sulla strada delle riforme in base alle Quattordici Priorità che la Commissione europea ha indicato nel maggio 2019 affinché la BiH possa ottenere lo status di candidato all’adesione (al momento è solo “potenziale candidato”). Il futuro europeo, sul quale tutte le componenti etno-nazionali convergono, deve diventare il collante fondamentale per spingere i principali attori politici a rimettersi responsabilmente intorno a un tavolo, nell’interesse generale del Paese e dei suoi cittadini.
Che ruolo gioca il nostro Paese in questo processo?
L’Italia ha un ruolo assai profilato e le faccio solo alcuni esempi. Tramite il Ministero dell’Interno, il nostro Paese, insieme alla Germania, detiene la guida di un importante progetto finanziato con fondi europei che si prefigge di elevare gli standard operativi delle istituzioni giudiziarie e degli organi di polizia degli Stati dei Balcani occidentali per facilitarne l’avvicinamento all’Ue. In Bosnia-Erzegovina, come ho potuto appurare da recenti incontri con interlocutori locali e con i nostri referenti, il progetto sta procedendo con risultati confortanti. Siamo inoltre Paese leader di un ‘twinning’ (gemellaggio, ndr.), sempre in un’ottica pre-adesione, che mira ad armonizzare la legislazione fitosanitaria del Paese a quella europea.
Una delle zavorre che impedisce alla Bosnia di crescere è sicuramente la corruzione…
Recentemente è partito un progetto sul quale mi sono personalmente molto speso sin dall’inizio del mio mandato: la nostra Autorità Anti-Corruzione (Anac) ha avviato un ciclo strutturato di incontri di formazione ed aggiornamento verso il personale dell’ Agenzia di BiH competente in materia di public procurement e contribuirà altresì alla revisione del manuale operativo che l’omologa agenzia bosniaco-erzegovese predisporrà per aggiornare i concetti di riferimento e le metodologie di lavoro di tutti gli enti e le istituzioni del Paese coinvolti nel processo. Nel quadro della medesima iniziativa anche l’Ispettorato Generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale ha svolto un incontro on-line con i dirigenti dell’Agenzia del Public Procurement per illustrare il sistema di trasparenza e di prevenzione della corruzione applicato dalla Farnesina e dalla rete degli Uffici all’estero. La collaborazione da parte italiana in tale delicato settore è cruciale in quanto – come denunciato anche da Trasparency International Bosnia-Erzegovina – la corruzione continua a costituire uno dei più drammatici problemi del Paese e non casualmente un serio impegno a contrastare il nefasto fenomeno con politiche di trasparenza permea in più punti l’agenda delle riforme europee richieste al Paese nel settore della “Rule of Law”.
Come si connota la presenza italiana in Bosnia, “integrata e operosa”?
L’espressione da lei usata “presenza integrata ed operosa” descrive alla perfezione le nostre collettività BiH. Registriamo numerose comunità “tradizionali” di cittadini di origine italiana, frutto dell’emigrazione storica che prese avvio dopo il 1878 quando la BiH venne sottoposta all’amministrazione asburgica. I flussi si svilupparono in misura prevalente dal Triveneto e in particolare dal Trentino. Sono assai numerose le associazioni che – a Sarajevo, Banja Luka, Prnjavor, Tuzla, – tengono a mantenere vive le loro radici di italianità, realizzando allo scopo varie iniziative sociali e culturali. Vi sono poi, come ricordavo, connazionali che si sono più recentemente insediati sul territorio nell’ambito di attività imprenditoriali e commerciali o come operatori di Ong o nel settore scolastico-universitario. Mi lasci ricordare anche i funzionari internazionali (abbiamo italiani presso molte organizzazioni internazionali, quali Oim, Ue, Osce, Unicef) e i nostri Militari in servizio presso la Missione Eufor-Althea, che contribuiscono al mandato della forza europea proteso a mantenere un ambiente stabile e sicuro in un Paese politicamente complesso.
Molti analisti dipingono la zona balcanica – la Bosnia in particolare -, dopo l’Ucraina, come potenziale altro scenario di guerra nel cuore dell’Europa visto anche le risorgenti pulsioni secessioniste interne. La Bosnia-Erzegovina non ha assunto una posizione ufficiale unitaria sulla crisi ucraina a causa delle diverse vedute al riguardo da parte dei componenti della presidenza tripartita. Condivide questa analisi?
In un contesto politicamente polarizzato, a maggior ragione nel quadro della crisi attualmente in corso, non sorprende che in BiH la postura verso la guerra in Ucraina – considerando gli interventi pubblici sinora resi dalle maggiori personalità politiche ed istituzionali del Paese – abbia sinora evidenziato differenti inclinazioni. Rimane peraltro il fatto inequivocabile che la BiH ha già appoggiato una serie di incisive iniziative della comunità internazionale, votando a favore della sospensione della membership russa al Consiglio d’Europa, e aderendo – in seno all’Assemblea generale Onu – prima a una dichiarazione congiunta dell’Ue, poi alla Risoluzione che condanna l’aggressione russa, chiedendo a Mosca l’immediata cessazione delle operazioni militari.
La preoccupazione verso questo nuovo potenziale scenario di guerra è evidente tra i bosniaci…
Tra la popolazione locale, alla luce della tragica esperienza della guerra 1992-1995, certamente si avverte la preoccupazione che la crisi in Ucraina possa avere ripercussioni anche sui Balcani, a cominciare dalla stessa Bosnia-Erzegovina, che, come noto, per le sue specificità etniche, detiene un ruolo chiave nei delicati equilibri regionali. L’Italia è convinta che in questo frangente sia necessario un profilo ancor più robusto dell’Ue nei Balcani Occidentali e in particolare in Bosnia-Erzegovina. La recente mobilitazione di forze della riserva in ambito Eufor con l’invio circa 500 unità aggiuntive, oltre ad innalzare le capacità di vigilanza della forza europea, intende soprattutto rassicurare i cittadini e le Autorità bosniaco-erzegovesi sul perdurante impegno dell’Ue per la stabilità e la sicurezza del Paese attraverso una più radicata presenza sul territorio. Al momento si tratta, peraltro, come specificato anche dalla locale Delegazione Europea, di una misura puramente precauzionale, non legata alla constatazione di specifiche minacce alla sicurezza.
La Bosnia è uno dei Paesi della Rotta Balcanica, il corridoio lungo il quale i migranti dalla Turchia cercano di arrivare in Europa. Quale politica è stata messa in campo dall’Italia per aiutare la Bosnia nell’accoglienza?
L’Italia sostiene concretamente la BiH sul fronte delle politiche migratorie allo scopo di migliorarne le capacità gestionali in un settore importante e delicato. Come ricordava lei, il territorio della BiH costituisce segmento-chiave della Rotta Balcanica per la sua contiguità all’Ue attraverso il confine comune con la Croazia. Tra le varie collaborazioni in corso, vorrei ricordare l’intesa in vigore tra il Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale e l’Oim: una partnership che ha direttamente contribuito, grazie a stanziamenti a valere sul Fondo Migrazioni del Maeci, alla realizzazione del nuovo Centro di accoglienza migranti di Lipa, inaugurato lo scorso novembre. Una struttura certamente meglio organizzata, con più ampie capacità ricettive e maggiori servizi rispetto al campo che era stato in precedenza allestito dalle forze armate nella medesima area, con tende militari, per fronteggiare temporaneamente l’emergenza. In confronto alla drammatica situazione umanitaria vissuta nell’inverno 2020 e portata alla ribalta anche dai media, sono stati realizzati nello spazio di pochi mesi importanti passi in avanti nella gestione del fenomeno, frutto di un efficace raccordo tra la comunità internazionale e i vari attori locali, ai vari livelli della complessa stratificazione amministrativa del Paese. Un esempio concreto dell’importanza del coordinamento per realizzare obiettivi d’interesse generale. Altro rilevante contributo italiano è il progetto, sviluppato d’intesa con l’Acnur, l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, che ha consentito ad alcuni funzionari del Servizio Stranieri del Ministero della Sicurezza di BiH di effettuare un training in Italia presso nostre Autorità per accrescere la loro capacità di gestire e processare istanze di riconoscimento dello status di rifugiato.