(Da Medjugorje) La chiesa di san Giacomo, a Medjugorie, è già tutta piena prima dell’inizio della messa. Colpisce il silenzio nell’attesa, rotto solo dal suono delle campane. All’esterno i fedeli si dispongono lungo il piazzale antistante con delle piccole sedie piegabili portate da casa. Le zone assolate sono quelle più gettonate, anche perché qui il vento freddo sferza i volti. Tanti sono giovani, moltissime le famiglie con bambini piccoli al seguito, pochi, invece, i pellegrini. Un piccolo gruppo di fedeli spagnoli si ferma all’ingresso del piazzale, dove è posta una statua della Vergine Maria, Regina della Pace. Si inginocchiano, pregano e poi si dirigono verso i confessionali, posti ai lati della chiesa. Si dispongono in fila in attesa del loro turno. Altri fedeli locali partecipano alla messa, celebrata in bosniaco da uno dei padri francescani del posto, attraverso alcuni schermi. Tempo di girare sul retro della chiesa che ecco aprirsi davanti agli occhi un enorme piazzale pieno anch’esso di fedeli. Un fiume silenzioso di gente va e viene dall’enorme scultura in bronzo del Cristo Risorto, ma dalle braccia spalancate come se fosse ancora in croce, realizzata e donata dall’artista Andrija Ajdič, nel 1998, nel giorno di Pasqua. La statua trasuda, dal 2001, di un liquido che viene raccolto con dei fazzoletti dai fedeli, confidando in qualche potere taumaturgico mai provato. Altri fedeli si muovono in direzione del Podbrdo, la collina delle prime apparizioni della Madonna, e verso il Krizevac, la montagna della Via Crucis. Prima del Covid-19, in questa piccola località del comune di Čitluk, nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina, arrivavano oltre due milioni di pellegrini. Oggi i pellegrinaggi stanno lentamente riprendendo e da queste parti sperano tutti che la forza della preghiera possa aiutare, soprattutto, la pace in Ucraina. Medjugorje ha subito aperto le sue porte ai primi profughi in fuga dalla guerra. I pellegrini ucraini che ogni anno vengono a pregare la Regina della Pace sono tantissimi. Gli ultimi sono stati visti lo scorso dicembre, prima dell’aggressione russa. Qualcuno è tornato da profugo.
Il fatto spirituale. Sulle apparizioni mariane che alcuni veggenti affermano di avere dal 24 giugno del 1981, sotto il regime comunista, ha indagato una commissione d’inchiesta voluta da Benedetto XVI nel 2010, istituita presso la Congregazione per la Dottrina della Fede, presieduta dal card. Camillo Ruini. La relazione conclusiva fu consegnata a Papa Francesco e mai pubblicata ufficialmente. A riguardo valgono le parole dello stesso Papa Bergoglio che, di ritorno da un viaggio a Fatima (maggio 2017) disse che, sulle prime apparizioni, la Commissione deve continuare a investigare, senza negare “il fatto spirituale, il fatto pastorale, gente che va lì e si converte, gente che incontra Dio, che cambia vita”. Questa attenzione del Papa si concretizzò, l’anno dopo, con la nomina dell’arcivescovo polacco Henryk Hoser, Visitatore Apostolico a carattere speciale per la parrocchia di Medjugorje: un incarico esclusivamente pastorale, con la finalità di “assicurare un accompagnamento stabile e continuo della comunità parrocchiale di Medjugorje e dei fedeli che vi si recano in pellegrinaggio, le cui esigenze richiedono una peculiare attenzione”. A mons. Hoser, morto il 13 agosto 2021 a Varsavia, è succeduto, il 27 novembre 2021, l’arcivescovo Aldo Cavalli, fino ad allora nunzio apostolico nei Paesi Bassi e rappresentante permanente presso l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. Incontriamo mons. Cavalli davanti la Chiesa di san Giacomo e subito ci racconta le sue prime impressioni, da quando, lo scorso 11 febbraio, giorno della festa della Madonna di Lourdes, è giunto a Medjugorje.
Identità spirituale. “Qui c’è un’identità spirituale molto profonda – racconta -. Chi arriva in questa grande piazza antistante la chiesa trova l’immagine di Maria Regina della pace ad accoglierlo. I fedeli vi si fermano davanti, pregano e poi vanno in Chiesa ad incontrare, per mezzo della Madonna, Cristo Gesù, centro della vita cristiana. Questa è la spiritualità di Medjugorje che vive di preghiera, il Rosario, dei sacramenti, Confessione e Eucarestia, della Messa e dell’Adorazione continua. Qui ci sono poi tre luoghi cari ai fedeli: due, la collina delle Apparizioni e la Montagna della Via Crucis, sono frequentati giorno e notte dai pellegrini in preghiera. Vi è poi la Croce del Risorto sotto la quale la gente prega pensando ad una vita tra cielo e terra. Ecco, Medjugorje è tutto questo”.
Da Visitatore come intende valorizzare l’attività pastorale in questa parrocchia?
Su Medjugorje è stata operata una distinzione: pastorale e teologica. Quella pastorale l’ho descritta poc’anzi, quella teologica – relativa alle apparizioni – è in mano alla Commissione istituita presso la Congregazione per la dottrina della fede. Per ciò che mi riguarda devo stare tra la gente, con i padri francescani che con fede, capacità e generosità da molti anni accompagnano i fedeli che giungono qui. Segni visibili sono le lunghe file davanti ai confessionali dove la gente attende per ore di entrare. Ne deriva una pastorale di accoglienza: in compagnia della Vergine Maria si incontra Gesù. Preghiere, canti, omelie, liturgie tutto viene preparato con cura. Durante l’anno accogliamo decine e decine di ritiri e formiamo le guide che devono aiutare i pellegrini a raggiungere lo scopo della loro visita qui.
Alla luce di quanto detto, ritiene possibile un riconoscimento di Medjugorje da parte della Chiesa?
Dipende dal Santo Padre. Il fatto che abbia mandato, già prima di me e ora con me, un arcivescovo come Visitatore apostolico, è un grande segno di riconoscimento della spiritualità di questo luogo e di attenzione a tante persone che qui vengono solo per pregare. Per il futuro si vedrà.
A Medjugorje sono giunti numerosi profughi ucraini. Che valore ha questo gesto in un Paese che ancora soffre per le ferite della guerra nei Balcani scoppiata ‘solo’ 30 anni fa?
La pace riguarda tutti, specialmente ora che si combatte in Ucraina. Qui la gente del posto ha accolto oltre 200 profughi ucraini. La Caritas sta organizzando luoghi di accoglienza.
La popolazione locale sa che tanto ha ricevuto durante la guerra dei Balcani e tanto ora vuole donare a chi è nel bisogno. Non è un’accoglienza paternalistica, tutt’altro. Si punta all’inclusione e all’integrazione di questa gente nel bisogno.
Maria è venerata da cattolici, cristiani e musulmani, da croati, serbi e bosgnacchi. Fedi ed etnie di questa terra dove le divisioni sono all’ordine del giorno…
Maria è Regina della pace. Quando si parla di pace si parla di convivenza. Gli altri, diversi da me, sono tutte persone umane. Se viviamo con gli occhi della pace vediamo le persone come esseri umani che, come me, vogliono essere accolti e rispettati. La guerra accade quando vediamo l’altro non più come una persona da accogliere ma come un nemico. In quel momento diventiamo cattivi. Nonostante vite, culture e idee diverse siamo tutte persone umane. Riconoscendo questo si promuove la pace.
Da diplomatico vede margini di negoziato per la guerra in Ucraina? La Santa Sede si sta prodigando molto…
Papa Francesco sta lanciando appelli continui per la fine della guerra. Il Pontefice è andato a bussare all’ambasciata russa e gli hanno aperto.
Aprire le porte in tempo di guerra non è affatto così scontato.
I suoi sono gesti da grande leader. Io credo che i margini per un dialogo ci siano sempre ma le persone che sono dentro a questa guerra devono essere le prime a crederlo. Per dialogare deve realizzarsi una condizione: il cessate-il-fuoco.