(Medjugorje) “Cari bambini, mi chiamo Zlatko, un nome insolito, per questo tutti mi chiamano Zlaya. Vado in quarta elementare. Mi dispiace molto per quello che vi è successo. Sappiamo tutti che la vita è piena di ostacoli, ma io so che ce la farete a superarli. Prego tutti i giorni che la guerra finisca il prima possibile così che possiate fare rientro nelle vostre case e nelle vostre scuole. Vi voglio bene”. Poche righe scritte a mano su un foglio dove campeggiano la bandiera ucraina e quella bosniaca, in mezzo un cuore rosso. Così il piccolo Zlatko, un bambino della parrocchia di Siroki Brijeg, non distante da Medjugorie, ha voluto salutare i suoi coetanei ucraini accolti, con madri e sorelle, nel centro noto al mondo per le apparizioni mariane. La guerra in Ucraina ha raggiunto la Bosnia-Erzegovina, che proprio in questi giorni ricorda i 30 anni dello scoppio della guerra e dell’assedio di Sarajevo. Circa 200 profughi, infatti, sono giunti una settimana fa nel santuario dove si venera Maria, Regina della Pace. Un ulteriore motivo per sentirsi al sicuro e per pregare per i loro uomini rimasti in patria a combattere contro i russi.
Vivere in guerra. “Si tratta solo di donne e bambini dagli 1 ai 15 anni che arrivano da gran parte dell’Ucraina sotto attacco, Kiev esclusa – racconta al Sir Davor Ljubic, uno dei promotori dell’accoglienza -. Al momento ci sono oltre 200 ucraini qui a Medjugorje, la gran parte è registrata presso la Croce Rossa che così fornisce cure e assistenza medica, insieme alla vaccinazione anti Covid-19. Tanti abitanti del posto hanno messo a loro disposizione delle stanze e appartamenti. Noi bosniaci sappiamo bene che significa vivere in guerra e questo è il minimo che possiamo fare per dare aiuto a chi sta soffrendo la perdita di tutto”. A Medjugorje gli scampati dalla guerra in Ucraina trovano anche assistenza spirituale e pastorale. “Il loro pensiero è rivolto ai congiunti rimasti in Patria a combattere – spiega al Sir, padre Arturo, giovane sacerdote pallottino, di origini polacche che parla molto bene ucraino – il mettersi nelle mani di Dio e di Maria dona loro sollievo. Da parte nostra cerchiamo di ascoltarli molto e di dare loro conforto attraverso colloqui personali, l’amministrazione dei Sacramenti. Facciamo ogni cosa che serve ad aprire il cuore alla speranza”.
“Scelti per portare la croce”. Domenica 13 è stato un giorno di festa perché i bambini delle parrocchie, anche quelle vicine a Medjugorje, hanno voluto preparare dei regali per i loro amici ucraini. In cerchio hanno cantato canzoni delle rispettive tradizioni, i bambini ucraini intonato un canto popolare ucraino sui versi di Taras Hryhorovyč Ševčenko, uno dei più grandi poeti ucraini. Dalla sua penna sono usciti versi patriottici come: “…Crederemo ancora un po’ alla libertà, Poi cominceremo a vivere Tra la gente, come la gente. E finché sarà così, Amatevi, fratelli miei, Amate l’Ucraina, E pregate il Signore Per lei”. Mentre i piccoli cantavano i volti degli adulti si rigavano di lacrime, scattavano foto da mandare al fronte, cercavano un contatto con chi è rimasto a casa per condividere un po’ di festa. Per tranquillizzarli ed esorcizzare la paura. La fatica, è il racconto Daryna (nome di fantasia), “è quella di non far trapelare nulla ai nostri figli del peggioramento della situazione in Ucraina. Abbiamo notizie che parlano di combattimenti e di attacchi a zone che finora erano state risparmiate dalla guerra”. Olia viene da Ternopiľ, una città dell’Ucraina occidentale. A lei fanno riferimento le madri del gruppo arrivato a Medjugorje. Olia conosce bene Medjugorje perché qui è venuta molte volte in pellegrinaggio prima della guerra: “Lasciare il nostro Paese è stata una scelta molto difficile. Uscire è stato molto complicato dal punto di vista logistico, ci muovevamo solo di notte. Finché siamo rimaste in Ucraina evitavamo di guardare la televisione per non pensare sempre alla guerra. Per questo il tempo che avevamo lo dedicavamo ad aiutare persone in difficoltà o che non potevano muoversi”.
“I momenti peggiori erano quando di notte suonavano gli allarmi antiaerei. Non sapevamo cosa fare, dove andare a nasconderci. Allora ci mettevamo seduti sul pavimento a recitare il Rosario”.
Ora il Rosario lo recita mentre sale sul monte delle Apparizioni, un cammino per lei familiare. Come la Via Crucis. “Molto del nostro tempo – ancora parole della donna – lo trascorriamo pregando. Preghiamo per chiedere di tornare presto a casa, preghiamo per la pace e salvezza di tutti”. Una lunga e continua preghiera di intercessione per la pace che parte da Medjugorje e che arriva dentro le città martiri ucraine. “Siamo grati al mondo per la solidarietà e a Papa Francesco per la sua continua vicinanza. Abbiamo capito che
“siamo stati scelti per portare questa Croce ed è ciò che facciamo”.
Tempo di sperare. Intanto il biglietto di Zlatko è passato di mano in mano come i regali, palloni, giochi di società, dolcetti, peluche, dvd, bambole e costruzioni. Chi lo legge lo rimette nello scatolone dei regali, così che tutti possano vederlo e leggerlo. Una bambina si tiene stretto un peluche – “ne aveva uno simile a casa in Ucraina, un regalo del papà” ci fa capire la mamma –. Nel prato due piccole squadre di calcio miste, bambini ucraini e bosniaci insieme. Giacche a vento a delimitare le porte. Questo è il tempo di giocare e di sperare.