(Strasburgo) Ci sono un’umanità e un mondo che reclamano pace, democrazia, diritti e libertà. Perché in troppi angoli del mondo questi beni preziosi – troppe volte dati per scontati – mancano o sono negati. Il Premio Sakharov, assegnato ogni anno dal Parlamento europeo, ce lo ricorda.
Instancabili sforzi per la libertà. “Oggi rendiamo omaggio ai vincitori del Premio Sakharov 2024 per la libertà di pensiero: María Corina Machado e il Presidente eletto Edmundo González Urrutia. Lo ha affermato Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, durante la cerimonia svoltasi il 17 dicembre a Strasburgo per la consegna del premio che ricorda il dissidente russo. “Questo premio è per voi. In riconoscimento dei vostri instancabili sforzi per ripristinare la libertà e la democrazia in Venezuela e garantire una transizione del potere equa, libera e pacifica. Rischiando tutto per i valori che milioni di venezuelani e questo Parlamento hanno così cari: giustizia, democrazia e stato di diritto”. “Questo Parlamento è al vostro fianco, popolo venezuelano, nella vostra lotta per la democrazia… Condanniamo il regime di Maduro per i numerosi tentativi brutali e crudeli di mettere a tacere le voci democratiche di milioni di venezuelani”. “Il pugno di ferro di Maduro non può schiacciare lo spirito e le voci del popolo venezuelano che sta marciando per le strade per chiedere democrazia e giustizia”.
Durante la consegna del Premio Sakharov Metsola ha dato il benvenuto agli altri candidati al premio: l’organizzazioni per la pace delle donne israeliane e palestinesi e l’opposizione anticorruzione dell’Azerbaijan.
“Questa lotta non è e non sarà facile”. Edmundo González Urrutia è poi intervenuto in emiciclo richiamando l’impegno di tutto il popolo venezuelano “nella coraggiosa lotta per ripristinare la libertà e la democrazia nel nostro Paese”. Il dittatore Maduro ha deciso di ignorare l’esito del voto del 28 luglio che ha indicato lo stesso Urrutia come legittimo Presidente. “Ciò non ci ha colto di sorpresa. Come venezuelani, sappiamo chi abbiamo di fronte: un regime che mina gravemente i diritti umani, le istituzioni democratiche e il sistema delle libertà civili. In definitiva, si tratta di uno stato autocratico che cerca di costringerci ad agire contro ciò che la nostra coscienza ci dice di fare”. Ma “coloro che intendono rubare ciò che appartiene a tutti i venezuelani sanno che, prima o poi, il nostro Paese ritornerà nella direzione che il popolo ha già indicato. Gli abusi e le violenze oggi sono semplicemente un maldestro strumento per rinviare l’inevitabile. Sappiamo bene che questa lotta non è e non sarà facile. Lo sanno meglio di chiunque altro i nostri prigionieri politici, del cui numero, purtroppo, la dittatura è responsabile di un aumento esponenziale negli ultimi mesi”.
“Il nostro popolo ha reagito”. Con il Premio Sakharov “voi oggi riconoscete la lotta instancabile che milioni di venezuelani hanno condotto, per più di 25 anni, dentro e fuori il nostro Paese, per la libertà e la democrazia”. Così si è quindi espressa María Corina Machado, intervenuta da remoto alla cerimonia di assegnazione del Sakharov. “Dopo anni di aggressione sistematica da parte di uno dei regimi più distruttivi del pianeta, il popolo venezuelano ha dato infinite testimonianze di coraggio, intelligenza, resilienza e amore. Amore per i nostri figli, per la nostra terra e per la nostra libertà”. “Per un quarto di secolo hanno cercato di separarci, di indebolirci e di sottometterci. Hanno applicato la dottrina del nemico interno. Con la predicazione sistematica dell’odio hanno cercato di metterci gli uni contro gli altri”. Ma il Venezuela ha reagito.
“Contro ogni previsione, quella società divisa ha deciso di riunirsi e risorgere dalle proprie ceneri”.
“Affrontando il dolore con nobiltà e dignità, e in stretta adesione alla verità che dissolve le bugie, è emerso un genuino movimento di redenzione per unire e liberare il nostro popolo. […] Ciò che il Venezuela sta vivendo oggi è un autentico cambiamento culturale; ecco perché ciò che accade oggi in Venezuela trascende la nostra generazione e i nostri confini. La nostra lotta dimostra ciò che può ottenere una società profondamente maltrattata quando, remando controcorrente e superando gli ostacoli, decide di andare avanti insieme sulla via del bene”. Infine: “Il trionfo del Venezuela sarà il trionfo dell’umanità, di ogni individuo che ama essere libero e delle società che decidono di ritagliarsi insieme un futuro nella libertà”.
Testimonianze da Palestina-Israele e Azerbaijan. La consegna del Premio Sakharov ha fornito anche l’occasione per conoscere meglio gli altri finalisti e le loro storie. La pace tra Israele e Palestina e la situazione in Azerbaijan sono stati i temi sollevati durante un seminario rivolto alla stampa accreditata presente a Strasburgo. “La guerra entra nelle nostre case senza chiedere il permesso e le prime vittime sono i bambini che non c’entrano nulla, sono vittime innocenti”, le parole di Reem Al Hajajra, rappresentante di “Women of the Sun”, movimento femminista palestinese impegnato nel cercare di aumentare la partecipazione politica e il processo decisionale delle donne. “Chiediamo un tavolo tra Palestina e Israele con la presenza delle donne per chiedere la pace”. Un impegno per la pace che vede la partecipazione di “Women Wage Peace”, movimento pacifista israeliano apartitico che mira a dare potere alle donne per una negoziazione utile a porre fine al conflitto israelo-palestinese. “Vogliamo dare l’esempio su come gestire un processo di pace”,
ha dichiarato Pascale Chen, la rappresentante del movimento israeliano che chiede la fine della guerra, il rilascio degli ostaggi e il termine dell’assedio di Gaza per l’invio di aiuti umanitari. Finalista del Premio Sakharov anche Gubad Ibadoghlu, accademico e attivista contro la corruzione in Azerbaijan, irraggiungibile da qualche giorno, come dichiarato dalla figlia Zhala Bayramova, intervenuta al seminario in Parlamento europeo. “Il nostro Paese è alle porte dell’Europa ed è fondamentale che ci sia una democrazia”, le parole di Zhala che ha denunciato un sistema corrotto, dove le forze di polizia non operano nell’interesse della popolazione, i media indipendenti sono stati chiusi. “L’Azerbaijan non riesce a produrre tutto il petrolio e gas che vende, quindi lo compra dalla Russia e poi lo rivende all’Europa. Ogni centesimo di petrolio o gas che l’Europa acquista, serve per aiutare la Russia e un Paese che ci opprime con la dittatura”, le dichiarazioni della figlia di Ibadoghlu. “Vogliamo diventare un Paese democratico e diventare parte dell’Europa”, la sua conclusione.