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Ucraina. Mons. Yazlovetskyi (Caritas-Spes): “Sopravvivremo anche a questo inverno, ma per noi il nome della speranza è pace”

È stato Papa Francesco all’Angelus di domenica 1 dicembre a sollevare con preoccupazione la questione dell’inverno in Ucraina che rischia di esacerbare le condizioni già estremamente precarie di milioni di sfollati. "Saranno mesi difficilissimi per loro”, ha detto Francesco e “la concomitanza di guerra e freddo è tragica”. Parla mons. Yazlovetskyi, vescovo ausiliare di Kiev e presidente di Caritas-Spes Ucraina: “Rimango in silenzio perché temo di ripetere sempre le stesse cose. Ma per noi il nome della speranza qui in Ucraina è pace. Una realtà che prima davamo per scontata ma che oggi è diventata un dono che imploriamo”

(Foto ANSA/SIR)

“Mi trovo su una delle vie principali d Kiev, nelle vicinanze di piazza Majdan. Le strade sono piene di polizia e forze dell’ordine per l’arrivo questa mattina del cancelliere tedesco Olaf Scholz. Non ci sentiamo lasciati da soli e per questo diciamo grazie a Dio”. E’ per strada quando riusciamo a raggiungere telefonicamente mons. Oleksandr Yazlovetskyi, vescovo ausiliare di Kiev e presidente di Caritas-Spes Ucraina. Il Papa, domenica 1 dicembre, all’Angelus, ha rinnovato il suo appello di pace anche per la “martoriata Ucraina” richiamando questa volta l’attenzione della comunità internazionale in particolare sulle difficoltà che il Paese vivrà con la stagione invernale. “L’inverno è alle porte – ha detto il Papa -, e rischia di esacerbare le condizioni di milioni di sfollati. Saranno mesi difficilissimi per loro”. “La concomitanza di guerra e freddo è tragica”.

Mons. Oleksandr Yazlovetskyi (Foto Rkc)

“Noi cattolici siamo grati al Papa per ogni volta che menziona il nostro paese e chiede di pregare per noi”, dice subito il presidente di Caritas-Spes che sull’emergenza freddo, aggiunge: “Anche durante questa estate si guardava con grande preoccupazione all’arrivo dell’inverno perché le centrali elettriche vengono continuamente bombardate dai russi. In tv si diceva che bisognava prepararsi. Ma come si può preparare una città grande come Kiev, come Ternopil, o come Leopoli? La gente vive in palazzi pieni di appartamenti. Come possono fare da soli? Le notizie in tv e le continue mancanze di elettricità, acqua e riscaldamento fanno aumentare i prezzi. Il costo, per esempio, dei power bank necessari in caso di blackout prolungati per ricaricare smartphone e pc, è praticamente raddoppiato. In città, i negozi o gli uffici più importanti hanno provveduto ad acquistare i generatori. Ma la gente semplice, come fa? Nella città di Kiev per esempio l’elettricità va a singhiozzo, due ore sì e due ore no. Ancora non è arrivato il freddo rigido degli inverni e senza luce riusciamo a resistere”.

Gli uffici Caritas hanno una sede centrale a Kiev ma sono praticamente diffusi su tutto il territorio nazionale, presenti anche sui fronti caldi di guerra. “Come Caritas cerchiamo di provvedere a distribuire generatori almeno ai nostri centri amministrativi e di accoglienza più importanti, quanto meno per avere l’energia necessaria per preparare un tè o cibi caldi. Ma anche i generatori hanno un costo elevato”, racconta il vescovo. Gli aiuti, per fortuna, arrivano. Non sono diminuiti. E questa almeno è una buona notizia. “Le Caritas non ci lasciano, danno sempre tutto a tutti. Penso alla Caritas italiana e alle Caritas europee, che ci continuano ad aiutare a portare avanti i diversi progetti avviati fini dalle primissime ore della crisi che si è generata con l’aggressione russa su vasta scala e a implementarne di nuovi. Le altre organizzazioni umanitarie invece cominciano a sentire difficoltà. Si lamentano che gli aiuti diminuiscono e cominciano a rivolgersi alle nostre Caritas o ai vescovi locali, per trovare i fondi necessari per portare avanti a progetti avviati”.

Kyiv, sede di Caritas-Spes (Foto Sir)

Secondo i dati dell’Unhcr, dallo scoppio della guerra in Ucraina oltre 13 milioni di persone sono rifugiate nei paesi limitrofi e oltre 7 milioni sono sfollate all’interno del paese.

Milioni di persone sfollate all’interno dell’Ucraina affronteranno l’inverno senza un riparo sicuro.

Molti di loro vivono in rifugi temporanei, mentre altri lottano ogni mese per pagare l’affitto in miseri alloggi. Dopo aver lasciato tutti i loro beni, le famiglie hanno bisogno di aiuto durante i mesi più freddi dell’anno. A causa del protrarsi della guerra, le loro condizioni sono sempre più drammatiche. La distruzione delle case, il mancato accesso a beni primari come cibo e acqua potabile, l’interruzione della fornitura del gas e del carburante hanno lasciato molte famiglie in condizioni di assoluto bisogno. Ora, con l’arrivo dell’inverno gli interventi umanitari sono essenziali per garantire condizioni di vita calde, sicure e dignitose per le persone colpite. “Noi, come persone credenti, abbiamo questa consapevolezza che è tutto nelle mani di Dio. Lo sarà anche quest’anno, lo sarà per l’inverno. L’anno scorso siamo sopravvissuti anche perchè l’inverno non è stato così rigido come temevamo. Sopravvivremo anche questa volta”.

(Foto Caritas Spes)

Lo sguardo è sempre puntato al cielo e la speranza è riposta “nei sistemi antimissilistici che proteggono le nostre città e centrali elettriche e nelle preghiere”, racconta il presidente Caritas Spes. “Rimango in silenzio perché temo di ripetere sempre le stesse cose”, confessa il vescovo. “Ma per noi il nome della speranza qui in Ucraina è pace. Una realtà che prima davamo per scontata ma che oggi è diventata un dono che imploriamo”.  Speranza è anche il messaggio centrale scelto da papa Francesco per il prossimo Giubileo che si aprirà anche qui in Ucraina. Ma il Giubileo gli ucraini lo vivranno in Ucraina. E’ difficile lasciare il Paese in queste condizioni. “Le donne non potranno farlo per povertà. Gli uomini invece non possono lasciare il Paese per la guerra. Sarebbe stato bello poter vivere il Giubileo a Roma in comunione con tutta la Chiesa, visitare le basiliche, ma non potremo farlo”. Ma se la speranza è pace, quale pace attendete? “Diverse sono le proposte per mettere fine a questa guerra. Speriamo che i potenti del mondo possano accordarsi su una pace giusta, non una pace che non risolve nulla. Non una pace stabilita a tavolino solo per fermare la guerra. Non una pace che ci lascia da soli a gestire tutta la povertà che ha portato questa guerra. E non una pace che non ha il coraggio di condannare quelli che sono colpevoli. Una pace così sarebbe una pace ingiusta”.

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