“Siamo sommersi in un oceano di dolore, di fronte a queste scene, il sangue si congela. È veramente impensabile che nel terzo millennio, in Europa, ogni giorno qualcuno osa distruggere la vita umana. E’ un vero e proprio sacrilegio”. Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina (Ugcc), parte dalla tragedia di Sumy per descrivere questi 1.000 giorni di guerra. Un’esplosione ha colpito un cortile circondato da edifici residenziali, danneggiando 13 strutture e decine di appartamenti. Secondo le autorità, 84 persone sono rimaste ferite, tra cui 11 bambini, e 11 persone sono morte tra cui un bambino di 9 anni e una ragazza di 14 anni. “Questo profondo dolore fa suscitare tante domande: è veramente possibile che oggi in Europa si fa questa guerra neocoloniale che non considera degni del rispetto gli esseri umani? Sono le domande che purtroppo rimangono ancora senza delle risposte”.
Da Trump al Cancelliere tedesco al G7. Tutti stanno tentando di porre fine alla guerra per via diplomatica. È una resa o una pace giusta quella che propongono?
A nome di questa povera gente condannata alla morte ogni giorno, voglio ringraziare i leader mondiali e tutti quelli che tentano di far finire questa guerra con i mezzi e le possibilità che hanno a loro disposizione. Siamo veramente grati. Ma c’è un sospetto, forse un’ombra di paura. Temiamo che saremo noi a dover pagare il prezzo più alto di queste trattative. Abbiamo visto come il dolore della guerra in Ucraina sia diventato un tema di battaglia politica negli Stati Uniti. Il tema della guerra in Ucraina è al centro dei negoziati non soltanto diplomatici e politici, ma anche economici. Chiediamo allora a tutti di avere il coraggio di ascoltare la voce degli ucraini. Che non pensino di trovare una pace senza di noi. In passato, abbiamo visto parlare di noi senza di noi. Ma la voce dell’Ucraina deve essere ascoltata, considerata. L’Ucraina deve essere come popolo, il soggetto di queste trattative. Solo così si può avviare un autentico dialogo e non un monologo dei potenti. Solo così si svelerà una via per una pace giusta.
Cosa si deve intendere per “pace giusta”.
Primo, la pace giusta deve considerare il diritto alla vita e alla dignità della persona umana. Perché spesso quando si parla di pace, si parla dei territori, quello che uno può cedere e quello che uno può rivendicare. Ma nessuno parla delle persone umane che abitano in questi territori. Secondo, una pace autentica non può mai essere confusa con una tregua. La pace giusta deve essere duratura. Se oggi, ad esempio, a livello diplomatico e politico si preparano le basi per una trattativa di tregua secondo una formula di Minsk 3 che prevede un congelamento del conflitto, ma questa trattativa non tocca le cause di questo conflitto, questa tregua scambiata per pace giusta non solo durerà un periodo molto breve ma darà la possibilità all’aggressore di raccogliere più forze e attaccarci di nuovo. E’ quello che abbiamo succedere fin dal 2014. Terzo, la pace giusta deve aprire una strada alla riconciliazione. Se i cuori non saranno placati, se le intenzioni dei malvagi non cambiano, la pace non ha alcuna possibilità di sorgere, perché la giustizia e la verità si devono abbracciare sempre. Purtroppo quando sentiamo parlare di pace, tutti parlano di interessi. Nessuno parla del rispetto dei diritti. E questo è molto pericoloso perché se scambiamo il diritto con gli interessi, questo ci porterà alla situazione d’Europa prima della Seconda guerra mondiale.
Dopo 1.000 giorni l’Ucraina ha combattuto ma è stanca, anzi stanchissima. Si può negoziare con la Russia? E quale speranza di futuro si apre oggi?
E’ una grande domanda e non pretendo di dare una breve risposta. Proprio oggi però, parlando di questi 1.000 giorni, ho parlato di 1000 giorni della speranza. La speranza però non è un sentimento, perché il sentimento viene e passa. Quando però vedi i medici che ogni giorno non si stancano di cucire le ferite, anche sapendo che domani la guerra ne provocherà di nuove, la speranza prende il loro volto. E quando vedi gli ingegneri e i meccanici lavorare per ripristinare le infrastrutture energetiche, aggiustare e ricomporre i cavi rotti pur sapendo che domani un altro missile può distruggere il loro lavoro, la speranza ha il volto della luce che non smette di ritornare. La speranza ha il volto dei nostri giovani che in mezzo alla guerra sanno amarsi, si sposano, fanno nascere dei figli. E’ qualcosa di incredibile perché sono consapevoli di cosa è la guerra. Sanno di essere la generazione ad aver celebrato più funerali che matrimoni. Eppure non si stancano di dare la vita, di sognare un mondo felice e futuro. Quando vedi queste persone, capisci che la speranza non è una illusione, non è un sentimento, è una virtù autenticamente cristiana. E qual è la fonte di questa speranza? La fonte è il Cristo Risorto che in questo Regno della morte ci fa vedere che la speranza della vita è sempre più forte.