Stiamo facendo la storia

Occuparsi di questioni interne, per quanto importanti e vitali, mentre il mondo brucia, provoca non poco disagio. Pur non perdendo di vista il livello di gravità che ha raggiunto il conflitto in Medio Oriente dopo la decisione, irresponsabile, di Israele di sparare, perfino, sulle Forze Nato; pur seguendo, come si diceva, quanto sta avvenendo nei campi di battaglia, appare opportuno dedicare uno sguardo al nostro Paese in questo periodo dell’anno nel quale si lavora per la definizione della legge di bilancio.

Occuparsi di questioni interne, per quanto importanti e vitali, mentre il mondo brucia, provoca non poco disagio. Pur non perdendo di vista il livello di gravità che ha raggiunto il conflitto in Medio Oriente dopo la decisione, irresponsabile, di Israele di sparare, perfino, sulle Forze Nato; pur seguendo, come si diceva, quanto sta avvenendo nei campi di battaglia, appare opportuno dedicare uno sguardo al nostro Paese in questo periodo dell’anno nel quale si lavora per la definizione della legge di bilancio. Non un adempimento qualsiasi, ma un atto complesso destinato a incidere nella vita della gente e a qualificare l’attività del governo. Il provvedimento, purtroppo, inizia il suo iter mentre si apre uno scontro fra esecutivo e magistratura, dagli sviluppi incerti e preoccupanti. Sulla base di una norma della Corte di Giustizia europea, il Tribunale di Roma ha, infatti, respinto il fermo dei primi dodici migranti inviati in Albania. Intanto, il progetto del governo contenente le linee guida per la stesura del bilancio, che dovrà essere approvato entro il 31 dicembre, è approdato in Parlamento. A parte talune apprezzabili misure a favore delle famiglie con basso reddito, il resto è pressoché scontato. Con i numeri che ci sono – l’Italia detiene uno dei debiti più alti al mondo – è difficile fare miracoli. Anche perché l’Unione europea, tra i vari vincoli, ha fissato quello di ridurre il debito dello 0,5 per anno, dal 2025 al 2031. Con quello che resta (poco) si deve fare fronte agli impegni assunti e a quelli che si vanno ad assumere. Non si tratta soltanto di elencare cifre aride, ma di esplicitare quello che sta sotto i numeri in termini di bisogni e aspettative dei cittadini. Da una parte ci sono i servizi da assicurare – sanità, pensioni, scuola e altri ancora – dall’altra le tante promesse da onorare; in mezzo l’impegno a non aumentare le tasse. Ne sa qualcosa il Ministro dell’economia Giorgetti che si è vista contrastata, perfino dal suo partito (Lega), ogni proposta volta alla riduzione della spesa (spending review) o alla introduzione di nuove tasse. Un vero rompicapo che, da qui a fine anno, alimenterà dibattiti e polemiche dentro il governo e fra i partiti di maggioranza e di opposizione. Un rituale che, negli anni, ha riguardato tutti i governi, nessuno escluso. Il risultato, quasi scontato, sarà quello che, alla fine, a pagare saranno i cittadini che, in maniera palese o occulta, si vedranno ridotti i servizi. In questa narrazione la Premier Meloni, forte anche dei risultati positivi – in parte fondati – ottenuti nei due anni di governo, ha invitato i suoi a non mollare, a non fare “errori e passi falsi” e a guardare avanti, con la convinzione che “Stiamo facendo la storia”. Del resto, i numeri, come lei orgogliosamente afferma, sono dalla sua parte: “siamo più credibili nel contesto internazionale, l’occupazione aumenta, il Pil regge e gli sbarchi sono in calo”. Senza nulla togliere ai meriti della Meloni, lo stato di salute di un Paese, più che sui dati nudi e crudi, si fonda su quello che sta sotto i dati. Vero, per riprendere uno dei successi vantati dalla Meloni, che l’occupazione è aumentata, ma è anche vero che tanti lavori non ne fanno uno buono! Il lavoro c’è, dice l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ma i salari sono rimasti bassi. Alla fine del primo trimestre del 2024 le paghe erano ancora inferiori del 6,9% rispetto a prima della pandemia. In queste condizioni come si può chiedere ai giovani di metter su famiglia e imprimere, così, una inversione di tendenza al così detto “inverno demografico”? Se non ci sono braccia, non solo è incerto lo sviluppo economico, ma sono a rischio tutti i sistemi, da quello sanitario a quello previdenziale. I lavoratori di oggi (23 milioni) con i contributi che versano devono assicurare la pensione a 16 milioni di pensionati e costruire, allo stesso tempo, le pensioni del domani. Col risultato che i giovani di oggi andranno in pensione sempre più tardi e con prestazioni da fame! Con queste prospettive si può considerare saggia una scelta che scoraggia l’ingresso di immigrati, la maggior parte dei quali giovani, che pagano i contributi e chiedono poche prestazioni? Con tutto il rispetto per le prerogative della Premier, questi aspetti e altri che, per brevità, tralasciamo, dovrebbero suggerirle, nell’interesse del Paese, più cautela e meno trionfalismo. Anche perché la storia che si scrive oggi la leggeranno domani i nostri figli e i nostri nipoti.

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