Una Europa o più “Europe”? Una comune visione di futuro o progetti differenti, forse persino opposti? Quali i valori comuni? Quali percorsi e scelte politiche derivanti da quegli stessi valori? Si infittiscono le domande sul cammino dell’Unione europea. Il vento nazionalista che spira da anni sul vecchio continente, e le instabilità geopolitiche che scuotono il mondo disseminano di ostacoli il cammino dei Ventisette. Una riprova se ne è avuta – e c’era da aspettarselo – la scorsa settimana, con la visita ufficiale al Parlamento europeo del premier ungherese Viktor Orban, presente a Strasburgo in qualità di presidente di turno del Consiglio Ue.
Orban ha esposto dapprima ai giornalisti e poi in emiciclo la sua idea di Europa, con analisi ad ampio spettro fra economia, competitività e mercato unico, sicurezza e migrazioni, ambiente e agricoltura, inverno demografico e natalità. Il tutto con un eloquio sciolto, a tratti appassionato, talvolta spigoloso ma senza mai perdere aplomb.
L’accoglienza riservatagli dagli eurodeputati si è polarizzata:
da una parte (popolari, socialdemocratici, conservatori, liberali, verdi, sinistra) duri attacchi al premier su diritti umani, stato di diritto, vicinanza alla Russia e debole sostegno all’Ucraina, europeismo “tradito”; dall’altra elogi e sostegno esplicito dalle destre estreme raccolte nei due gruppi Patrioti per l’Europa (del quale fa parte il partito di Orban, Fidesz) e Europa delle nazioni sovrane.
Orban ha incassato accuse pesanti senza rinunciare ad altrettante ferme repliche, come è avvenuto nei confronti dell’eurodeputata italiana Ilaria Salis.
Ma lo scontro più duro si è avuto con la compassata, decisa, Ursula von der Leyen: Russia, corruzione, libertà e stato di diritto, migrazioni i temi su cui la presidente della Commissione europea ha incalzato Orban.
“Il mondo ha assistito alle atrocità della guerra russa. E tuttavia, c’è ancora qualcuno (senza citarlo, ndr) che attribuisce la colpa di questa guerra non all’invasore, ma all’invaso. Non alla brama di potere di Putin, ma alla sete di libertà dell’Ucraina”. Poi l’affondo: “Vorrei chiedere loro: darebbero mai la colpa agli ungheresi per l’invasione sovietica del 1956? […] Noi europei potremmo avere storie e lingue diverse, ma non esiste una lingua europea in cui la pace sia sinonimo di resa”.
Von der Leyen ha quindi sollevato il tema delle migrazioni:
“Lei – rivolgendosi a Orban – dice che l’Ungheria sta proteggendo i suoi confini e che i criminali vengono rinchiusi in Ungheria. Mi chiedo solo come questa affermazione si adatti al fatto che l’anno scorso le sue autorità hanno rilasciato dalla prigione trafficanti e contrabbandieri condannati prima che scontassero la pena”. E “a proposito di chi far entrare: come è possibile che il governo ungherese inviti cittadini russi nella nostra Unione senza ulteriori controlli di sicurezza? Questo rende il nuovo sistema di visti ungherese un rischio per la sicurezza, non solo per l’Ungheria ma per tutti gli Stati membri”. Ancora: “Come è possibile che il governo ungherese permetta alla polizia cinese di operare nel suo territorio? Questo non è difendere la sovranità dell’Europa, è una porta sul retro per l’interferenza straniera”. Lo scontro si è protratto a lungo in aula.
Viktor Orban nella due giorni strasburghese ha sostenuto che l’Unione europea è una “bolla”, segnata dalla burocrazia, costosa, inefficace, incapace di contrastare i grandi cambiamenti in corso nel mondo a partire dalla sicurezza, dalle migrazioni (ha proposto hub esterni all’Ue) e dalla competizione economica con Cina, Stati Uniti e altre potenze emergenti. Dal canto loro Von der Leyen e numerosissimi deputati hanno sostenuto che l’ottica con la quale il premier ungherese guarda all’integrazione europea sia contraria allo spirito stesso dell’Ue, irrispettosa dei Trattati, “sovranista” anziché comunitaria, debole verso Putin.
Le obiezioni sollevate contro Orban nascondono peraltro divisioni tra i suoi detrattori, così pure ritardi nelle politiche comunitarie, riforme Ue accantonate, passi indietro della stessa Commissione (basterebbe citare il Green Deal annacquato), divisioni fra gli Stati membri (sulla risposta all’aggressione russa, sul fronte mediorientale, sulla politica estera, sulle stesse migrazioni, sul bilancio Ue…). Orban ha avuto buon gioco a inserirsi in queste fratture; l’Ue nel suo insieme dovrebbe farsene carico.