Economia e lavoro, guerra e sicurezza, catastrofi naturali e tutela ambientale. Sono alcune delle questioni sulle quali i cittadini europei chiedono all’Ue azioni risolutive. Rispetto al passato vanno in secondo piano altri problemi, fra cui le migrazioni o le forniture energetiche. Eurobarometro, che scandaglia periodicamente i “sentimenti” degli europei, conferma questi mutamenti di rotta.
E se un buon livello di fiducia nelle istituzioni europee sembra confermato – in diversi Paesi ben superiore a quella accordato alle istituzioni nazionali –, su taluni aspetti della politica comunitaria regnano nei cittadini incertezza, incomprensione, a tratti smarrimento.
Qualche esempio? All’esordio della prima Commissione Von der Leyen, nel 2019, il cambiamento climatico era in cima all’agenda dei Ventisette. Il Green Deal, il percorso verso un’economia e stili di vita sostenibili, era un punto fermo del programma della Commissione. Salvo poi doversi misurare con l’imprevedibile arrivo del Covid e le crisi sanitaria, economica e sociale che ne seguirono.
Eppure contrastare il cambiamento climatico è rimasto un impegno (un dovere) evidente, date le sue ricadute sulla vita di ogni giorno. Ma del Green Deal si sono (tardivamente) scoperti significativi costi economici assieme alla necessità di modificare almeno in parte proprio gli stili di vita diffusi. Da qui le pressioni delle lobby, di alcuni potentati poco disposti a fare dei sacrifici per un bene superiore. I segnali dei passi indietro sul Green Deal sono ad oggi numerosi, riguardanti agricoltura, mobilità e trasporti, energie rinnovabili…
Un altro ambito in cui la coesione politica dell’Ue sta segnando il passo è il sostegno all’Ucraina che sconta, ogni giorno, il peso dell’aggressione russa. Mentre l’Ue tende la mano al popolo ucraino accogliendo rifugiati e fornendo aiuti umanitari, non riesce ancora a trovare pieno accordo sui 50 miliardi per la ricostruzione e nemmeno sul fornire armamenti e su come utilizzarli per la difesa del territorio ucraino. Quest’ultimo aspetto genera dubbi più che legittimi (non si agisce a sufficienza per una soluzione politica e diplomatica), ma ciò che stupisce riguarda il fatto che alcuni governi confondano aggredito e aggressore. Addirittura il premier ungherese Orban, presidente di turno del Consiglio Ue, non perde occasione per dimostrarsi amico di Putin.
A proposito di conflitti, l’Unione europea – per fare un altro esempio – non ha ancora stabilito una linea coerente su quanto avviene in Medio Oriente: manca un’idea chiara e una posizione definita rispetto alle azioni e reazioni sul campo tra Israele, Hamas, Hezbollah, Iran…
Non mancano altri temi, magari meno evidenti, in cui sembra venir meno una linea comune per il futuro prossimo dell’Ue27: che fine hanno fatto le invocate riforme delle istituzioni di Bruxelles e Strasburgo? Il bilancio comunitario è adeguato alle sfide in corso e a quelle che si prospettano a breve? La difesa della democrazia e dello stato di diritto, minacciato in alcuni Paesi dell’Unione, è ancora un punto fermo? Sulle migrazioni e l’asilo ci si accontenta del modestissimo Patto definito la scorsa primavera? L’implementazione del Pilastro sociale è solo uno slogan che resterà sulla carta?
Sono molteplici i fronti aperti che chiamano in causa l’Unione europea e i suoi Paesi membri. Non c’è tempo da perdere, occorrono scelte politiche coraggiose, capaci di guardare oltre gli interessi nazionali. Avranno la meglio i nazionalismi oppure lo spirito europeo? È la domanda di fondo che attende risposte chiare.
Unione europea: tentennamenti e passi indietro nelle politiche comuni
Dal Green Deal all'Ucraina, fino alle migrazioni e allo stato di diritto, arrivano segnali poco coerenti dai Ventisette. Eppure le sfide aperte richiederebbero coesione e scelte coraggiose