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L’Ue scommette di nuovo su Von der Leyen. I sovranisti restano ai margini

Il Parlamento ha confermato con un plebiscito alla carica di presidente la maltese Roberta Metsola. Lo stesso emiciclo di Strasburgo ha votato - con una maggioranza assai più risicata - la conferma di Ursula con der Leyen alla guida dell'Esecutivo. La quale ha ora di fronte lo scoglio della scelta dei commissari e la concretizzazione di un programma vasto ma senza slanci rispetto al futuro dell'integrazione comunitaria

(Foto Commissione europea)

Uno slalom, lungo cinque anni. È quello che attende Ursula von der Leyen e – più ancora – l’Unione europea. Gli esiti delle elezioni, la scorsa settimana a Strasburgo, della presidente del Parlamento europeo e poi della presidente della Commissione, hanno da una parte confermato che il processo di integrazione comunitaria può continuare. Questo nonostante il voto del 6-9 giugno per il rinnovo dell’Eurocamera abbia visto un’avanzata delle destre nazionaliste e antieuropee (pur con varie sfumature al loro interno). D’altra parte si è reso palese che il percorso verso un’Europa più coesa, efficiente e al passo coi tempi non sarà affatto una passeggiata, anche perché le stesse forze europeiste – o autoproclamatesi tali – mostrano evidenti divergenze e qualche crepa.

Numeri e maggioranza. Le due votazioni svoltesi nell’emiciclo dell’Europarlamento, rispettivamente il 16 e 18 luglio, hanno messo in luce anzitutto qualche differenza di gradimento sulle persone (e sui ruoli ricoperti). A Roberta Metsola, eurodeputata popolare maltese, sono andati, per la rielezione a presidente del Parlamento, 562 voti su 623 voti validi (699 votanti, 76 bianche e nulle). 61 voti sono andati all’altra candidata Irene Montero, esponente della sinistra. A Ursula von der Leyen, popolare tedesca, sono invece giunti, anche nel suo caso per la rielezione, 401 voti a favore su 707 votanti, ben 284 sono stati i contrari, 15 le astensioni e 7 schede bianche. Sulla carta Von der Leyen poteva contare su 454 voti, ossia i deputati dei quattro gruppi politici che si erano espressi per un suo secondo mandato: Popolari, Socialisti e democratici, Renew-Liberali e Verdi. Palese il fatto che ci siano stati una cinquantina di franchi tiratori e che i voti dei Verdi siano stati decisivi. In tal senso è stato osservato che la “maggioranza Ursula” si allargata a sinistra, con connotazioni ecologiste. Comunque chi aveva vaticinato sconvolgimenti politici in sede Ue dopo il voto di giugno non potrà certo affermare di aver avuto ragione.

Il collegio dei commissari. Dopo il voto di Strasburgo, ora la presidente della Commissione è attesa da un’altra impervia prova: quella della nomina dei commissari. Alla Von der Leyen arriveranno nelle prossime settimane dagli Stati membri i nomi dei possibili candidati alla carica (due nominativi per Paese): spetterà poi a lei la scelta delle deleghe da attribuire a ciascuno, sulla base delle quali i candidati commissari dovranno superare le audizioni delle commissioni parlamentari, per giungere infine, quasi certamente a ottobre, al voto finale sull’intero collegio. I commissari si presenteranno all’“esame” sulla base del programma della Commissione per il periodo 2024-2029 illustrato dalla stessa presidente dinanzi all’Europarlamento.

Impegni e promesse. Le priorità programmatiche targate Von der Leyen (definite in un documento di trenta pagine senza particolari slanci né visioni futuriste) corrispondono a un ampio ventaglio di temi e qua e là fanno pensare a qualche fumosa promessa. Numerosi i capitoli: prosperità economica, sostegno all’agricoltura, Green Deal, tutela della democrazia e stato di diritto, sicurezza e difesa, politica estera (Ucraina, Medio Oriente, Usa, Cina, Nato…), allargamento, pilastro dei diritti sociali, opportunità per i giovani. “Abbiamo bisogno di un’agenda di riforme ambiziose per garantire il corretto funzionamento di una Ue più grande, per affrontare le sfide geopolitiche e migliorare la legittimità democratica, in particolare attraverso la partecipazione dei cittadini”, ha dichiarato Von der Leyen nel suo discorso all’Europarlamento, prospettando, se necessario, una revisione dei Trattati. Ampia la parte su sicurezza e difesa (competenza che però è primariamente in capo agli Stati e non all’Ue); ha fatto cenno alla lotta alla criminalità, alle minacce cibernetiche, al narcotraffico. Sulle migrazioni è stata evasiva, salvo ribadire il controllo delle frontiere, la lotta alla tratta di esseri umani, per poi sostenere la bontà del nuovo Patto per la migrazione e l’asilo. Ha sostenuto l’impegno per l’allargamento a Balcani, Ucraina, Moldova e Georgia, parlando di “enorme responsabilità geostrategica”. A seguire l’attenzione si è spostata sul “pilastro sociale”, con accenni su tutela dei consumatori, condizioni di lavoro e contrattazione collettiva, crisi degli alloggi, difesa dell’infanzia, lotta alla violenza contro le donne e impegno per la parità di genere, conciliazione tra vita professionale e familiare.

In cerca di appoggi. Per realizzare tutto questo Von der Leyen dovrà assicurarsi l’appoggio – non scontato – delle altre istituzioni Ue (Parlamento e Consiglio), delle famiglie politiche che animano l’emiciclo di Strasburgo e, non di meno, dei 27 governi dei Paesi membri, o almeno quelli più influenti e che ne hanno facilitato, in mancanza di reali alternative, il secondo mandato: ossia Germania, Francia e Spagna. Il rapporto con l’Europarlamento si renderà fondamentale per assicurare una “spinta democratica” alle scelte politiche e alle normative di volta in volta proposte. La presidente dovrà appoggiarsi per forza di cose alla coalizione che le ha dato fiducia, senza trascurarne la strutturale disomogeneità. D’altro canto a Strasburgo si troverà di fronte un terzo di eurodeputati sovranisti che la vedono come il fumo negli occhi: per sua fortuna, Von de Leyen potrà del resto contare sul fatto che i sovranisti sono tra loro diversi e divisi, rendendoli potenzialmente irrilevanti.

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