(da Kyiv) Dare corpo alla pace. Con questo obiettivo, dopo la preghiera in piazza Santa Sofia di Kyiv, gli attivisti del Mean si sono dati appuntamento al Palazzo Ottobre per un incontro finalizzato a individuare idee, mettere in campo proposte concrete e azioni comuni per sostenere il difficilissimo cammino di un popolo in guerra ad uscire dalla crisi e ricostruire il Paese. Un’intensa mattinata di lavoro, dove divisi per gruppo tematici, insieme a partner e interlocutori ucraini, si sono affrontati temi complessi. Hanno partecipato ai lavori anche il nunzio apostolico di Kyiv, mons. Visvaldas Kulbokas, e Vadim Hakaichuk, presidente del Comitato ucraino per l’integrazione europea. “È un lavoro in working in progress”, dice Marianella Sclavi, portavoce del Mean, che confluirà con le sintesi di quanto emerso in un e-book che circolerà tra i partecipanti e farà poi da piattaforma alle iniziative future.
Ai tavoli di lavoro si è parlato dei corpi civili di pace europei, “una proposta innovativa – spiegano i volontari del Mean – di grande potenziale e alto valore simbolico per la gestione delle crisi, la prevenzione e la risoluzione pacifica dei conflitti”. Per “corpi civili di pace” si intende il dispiegamento di specialisti civili preparati a scendere sul campo e a mettere in atto misure pratiche per la pace, quali l’arbitrato, la mediazione, la mitigazione degli effetti post-trauma, gli aiuti umanitari, il monitoraggio dei diritti umani. Nascono dall’idea di
“non delegare la costruzione della pace a nessun governo”
e dall’esigenza di “un protagonismo della società civile nella costruzione della pace in modo che chiedere a gran voce la pace per l’Ucraina corrisponda alla costruzione di una pace vera e giusta”. Insomma, si tratta di “uno strumento di intervento innovativo” che i volontari del Mean chiedono di mettere nella “cassetta degli strumenti della politica estera dell’Ue per le aree di crisi”. A Kyiv, si è parlato anche della proposta di istituire una “Commissione per la verità e la riconciliazione” che dovrebbe essere composta da persone, “sagge e al di sopra delle parti”, con il compito di dare voce e ascolto a tutte le vittime, per aiutarle nella ricostruzione di ciò che hanno subito o direttamente o i loro familiari torturati e trucidati. Un gruppo di lavoro ha messo a fuoco il tema delle “parole della pace” indagando su storie di amicizie possibili, anche tra ucraini, russi e bielorussi, gemellaggi tra città o luoghi di incontro e scambio dove le persone possano raccontarsi, conoscere e promuovere cooperazione. Al centro di discussione anche il ruolo che il dialogo interreligioso ed ecumenico può avere alla costruzione della pace. Un tavolo infine è stato dedicato ai “traumi di guerra”. Uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità del 2019, basato su 129 studi svolti in 39 Paesi dal 1980 al 2017, ha stabilito che, fra coloro che hanno vissuto in zone di guerra, una persona su cinque soffre di forme gravi di depressione, ansia, stress post-traumatico, disturbo bipolare o schizofrenia. C’è dunque un urgente bisogno di interventi di salute mentale capillarmente diffusi sui territori e di investimenti immediati e consistenti per rendere il supporto psichiatrico e psicosociale disponibile a tutte le persone bisognose.
“Questi incontri – spiega Angelo Moretti, portavoce del Mean – confermano la grande possibilità di costruire la pace che non è qualcosa che viene dall’alto. Siamo nel Palazzo di ottobre di Kyiv, con il nunzio apostolico e il presidente della commissione parlamentare in dialogo con il Parlamento europeo. Quello che stiamo facendo è un passo di diplomazia dal basso che parte dalla preghiera ma ha poi bisogno di riflessione concreta. Siamo all’undicesima missione. La fiducia aumenta, si cominciano a utilizzare parole differenti, un nuovo linguaggio. Queste iniziative non nascono in laboratorio, ma dalla gente che vive e che soffre. Noi siamo per loro compagni di viaggio”. Serghiy Chernov, ex governatore della regione di Kharkhiv, ringrazia. “Questo – dice – è un grande movimento della società civile, sostenuto dai nostri leader religiosi. Ci fa sperare. Ci dice che non siamo lasciati soli e che un giorno i nostri obiettivi saranno raggiunti: vivere sulla terra senza guerra”.