C’è un rapporto antico, tra sport e comunicazione, che mette le basi nei Giochi Olimpici dell’Antica Grecia e che si è riproposto e sviluppato con l’idea dei Giochi del Barone De Coubertin. Gli antichi campioni e le loro vicende sportive venivano cantate, narrate, per anni i loro nomi venivano esaltati: nei templi e negli stadi delle città greche c’erano i loro ritratti, venivano osannati, ed erano premiati con offerte sia in denaro sia con doni di varia natura. Gli atleti antichi venivano paragonati per le loro prestazioni agli dei. Le loro imprese ci sono state tramandate, come le vittorie di Clitomaco di Tebe nella lotta, nel pancrazio e nel pugilato, cantato da Pausania che ne vantò la vita ascetica e il grande influsso spirituale sui suoi tifosi.
O Milone di Crotone, ricordato per la sua forza impressionante, trionfatore in almeno 5 edizione dei Giochi di Olimpia tra il 532 e il 516 Avanti Cristo nella lotta. Era dotato di un appetito smisurato e veniva conteso dai ricchi cittadini delle città elleniche per dar lustro alle loro case. Di lui scrissero Teodoro di Ierapoli e Simonide, che incise sul basamento della sua statua d’onore a Olympia l’epigramma “che mai aveva piegato le ginocchia”. Quando nel 516, opposto al più giovane Timasiteo, che veloce rifiutava lo scontro, si dichiarò sconfitto per “disgusto,” la folla scese dagli spalti dello Stadio di Olympia decretandogli il trionfo portandolo per ore sulle spalle ignorando il vincitore.
“Non è cambiato niente, da allora, il campione olimpico fa notizia, viene osannato, di lui si parla, si cantano le vittorie e si analizzano le sconfitte. Così era a Olympia, così sarà a Parigi tra meno di un mese. Del campione olimpico si conoscono le abitudini, i sogni e le speranze. Il campione olimpico è per sempre, che vinca o che perda fa notizia, fa girare sponsor e la gente lo adora e lo applaude”, dice al Sir Enzo Cappiello, segretario generale della Ficts – Federazione internazionale cinema e televisione sportivi, organismo specializzato nella promozione dei valori olimpici attraverso il cinema e la televisione riconosciuto dal Cio – Comitato internazionale olimpico. “Se un tempo era l’iconografia su pietra o su carta, la narrazione orale e leggendaria, a creare il mito del campione olimpico (o dei Giochi Delfici o Pitici che fossero), già dalla prima edizione dei moderni Giochi Olimpici di Atene 1896 la comunicazione ha svolto un ruolo fondamentale per la divulgazione dell’olimpismo e dei suoi eroi”, dice Cappiello: grandi aziende hanno subito colto le potenzialità della comunicazione sportiva legata all’evento olimpico “e hanno usato i quadrienni olimpici per fare ricerca e progredire nella tecnologia dei mezzi di comunicazione”.
Già dal Congresso di Parigi che vide la nascita del Comitato internazionale olimpico e la decisione di realizzare i Giochi a Atene, il barone Pierre de Coubertin rese la stampa francese e internazionale del tempo partecipe delle scelte relative alle competizioni. “E la risposta fu positiva da subito – ricorda Cappiello – con un gruppo di fotografi ufficiali della Kodak che presenziarono alle gare ateniesi rilanciandole in tutti i più importanti giornali del tempo. Ma questo fu solo l’inizio perché i Giochi Olimpici hanno camminato insieme con il progresso tecnologico dei media: da Atene 1896 a Tokyo 2020/21 abbiamo assistito a una vera escalation comunicativa che ha usato dei media per fare opinione pubblica, informazione, guadagno. Dalle prime immagini in movimento legate a Parigi 1900, alle prime selezioni cinematografiche Pathé nei cinema europei delle gare di St. Louis, Londra e Stoccolma, con lo sviluppo delle comunicazioni telegrafiche e telefoniche e con la radio, fu con la pausa tragica della Prima Guerra mondiale che si ebbe una spinta poderosa alla tecnologia dei media”.
Secondo Cappiello la radio fu un primo passo per rendere i Giochi Olimpici un bene comune per tutti: “La nascita delle trasmissioni radiofoniche nazionali in Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e poi in tutto il mondo portò le notizie delle competizioni olimpiche ad essere diffuse in maniera capillare. L’uso della radio ai Giochi di Parigi 1924 fu costante e iniziarono a specializzarsi giornalisti esperti nello sport in grado di cantare gli eroi delle moderne Olimpiadi come gli aedi del passato”.
Il passo è sempre stato più breve, racconta Cappiello e “il miracolo cinematografico di Olympia, il capolavoro cinematografico elegiaco della grandezza del nazismo durante Berlino 1936, realizzato da Leni Riefenstahl ne è un esempio: grandi mezzi economici e tecnici, nuovi stili di ripresa, uso delle cineprese personalizzate, rendono il film dei Giochi di Berlino un punto cardine dell’evoluzione comunicativa delle Olimpiadi”. A Berlino vennero realizzate anche le prime trasmissioni televisive: “poi a Melbourne 1956 si usarono i primi satelliti per rilanciare in tutto il mondo le immagini dalla lontana Australia. A Roma 1960 con 106 ore di trasmissione in diretta la Rai coprì praticamente tutti gli eventi. A Tokyo 1964 vide per la prima volta la trasmissione in diretta via satellite di tutte le gare”.
Oggi abbiamo i sistemi digitali, abbiamo lo streaming, i computer, le riprese in wide screen, lo spezzettamento dell’offerta e una sovrabbondanza di proposte comunicative: “Ma quel che è certo – conclude Cappiello – è che tutto è iniziato da quelle epigrafi per i campioni di Olympia che oggi sono i televisori smart e i computer: perché senza l’atleta, senza il campione e senza lo sconfitto non ci sono argomenti. I Giochi sono fatti di sacralità, di sudore, di donne e uomini che si sfidano per un sogno: quello di diventare Campione Olimpico”.