L’appuntamento è in piazza San Pietro. È qui che una piccola delegazione di mogli, madri e fidanzate dei “difensori” dell’Azovstal ha potuto incontrare e parlare con Papa Francesco durante l’udienza di mercoledì 26 giugno. Sono più di due anni, che non hanno notizie dei loro cari. Non sanno come stanno. Non hanno mai ricevuto chiamate o lettere. Ma hanno la certezza che sono ancora vivi. Li hanno visti in tv, sui canali russi, mentre erano sotto processo. Purtroppo, è proprio questo il cuore del problema. Su questi ragazzi pesano sentenze, arbitrarie, di tribunali russi che impedisce loro di entrare nelle “liste” stilate per gli scambi dei prigionieri. “Il Papa è la nostra ultima speranza”, dice Vialietta Shovkova. “Non sappiamo più cosa fare per portare a casa i nostri cari. Solo un’amnistia o un indulto potrebbero salvarli ma dovrebbe essere Putin a prendere questa decisione. Non lo farà mai”.
Vialietta Shovkova ha solo 23 anni. È moglie del sergente Oleksii Bura-Shovkovy, anche lui fra le fila del battaglione Azov quando è stato sequestrato. Un tribunale russo lo ha condannato all’ergastolo il 22 febbraio scorso. Oleksii ha un tumore benigno alla testa che necessita di essere controllato almeno ogni tre/quattro mesi. Al Papa la piccola delegazione ha potuto raccontare la storia di questi ragazzi e consegnare una lista di 101 soldati che non solo si trovano nelle prigioni russe ma hanno anche subito una condanna. Alla Didenko ha 29 anni. Il suo fidanzato il sergente Oleksiy Zhernovsky, è stato condannato a 28 anni di prigione. L’ultimo contatto con lui, è un messaggio ricevuto l’11 aprile 2022: “Sono vivo. Ferito ma vivo”. “Abbiamo chiesto al Papa di aiutarci a ripotarli a casa. Sappiamo che le condizioni nelle prigioni russe sono critiche. Siamo preoccupate soprattutto per la loro incolumità e salute”. Le donne mostrano le foto dei prigionieri tornati a casa. Sono scioccanti. Corpi pelle ed ossa. Facce emaciate. Occhi scavati. Il confronto con le foto scattate prima della prigionia mostra volti completamente diversi. Si fa fatica a riconoscerli. Vengono alla mente le immagini che siamo abituati a vedere sui libri di storia o nei memoriali delle atrocità commesse in tutte le guerre.
È Tamara Koryagina a tradurre dall’inglese. D’altronde, prima della guerra faceva questa professione. L’aggressione russa ha travolto le vite di queste donne. Tamara è la moglie del soldato esperto Serhiy Mykhaylenko, anche lui della Brigata Azov. E anche su di lui pende una condanna all’ergastolo. Tamara ricorda l’ultima volta che lo ha sentito. È stato nel marzo 2022. Non erano nemmeno riusciti a parlare, per quanto fossero travolti dalle lacrime. Ricorda però le sue parole. Si trovava a Mariupol e le disse: “non ti preoccupare. Sto con i migliori”. Non è andata cosi. Secondo le ultime informazioni, Serhiy si trova in Siberia, nella colonia penale, uno delle più dure, dove è stato detenuto anche Alexeij Navalny.
Tetyana Vyshniak è una mamma. Suo figlio, il sergente Artem Vyshniak, è stato condannato a 22 anni di prigione, “contro la Convenzione di Ginevra”, ripete più volte. Mentre era impegnato sul fronte, raramente poteva mettersi in contatto con lui. Ogni volta però che ci riuscivano, Artem diceva di stare bene e durante l’assalto di Mariupol, le aveva detto: “resisteremo fino alla fine così tutti vedranno e sapranno come si ama e si difende la propria madre terra”. “È vivo”, dice con sicurezza Tetyana. Anche lei ha visto suo figlio in tv. Fa fatica a parlare e a trattenere le lacrime. “Sono una madre che non sa più nulla di suo figlio. Per capire cosa provo, cercate di mettervi nella mia situazione. La nostra speranza è il Papa. È l’unica persona che ci può aiutare”.