Mentre prosegue il viaggio della fiamma olimpica attraverso le strade di Francia, direzione Parigi 2024, non sono poche le voci che in questi anni si domandano se l’attuale dimensione “monstre” delle Olimpiadi (e da qualche edizione anche dei Giochi paralimpici) rispetti quell’olimpismo originario. Secondo il giornalista e scrittore Daniele Poto, inviato per Tuttosport ai Giochi di Atlanta 1996, Sidney 2000, Atene 2004 e Londra 2012, oltre che a varie edizioni dei mondiali di atletica, di ginnastica, di calcio, di hockey su ghiaccio, nuoto e al Sei Nazioni di rugby, “l’Olimpiade sta diventando sempre più un esempio di evento lontano non solo dall’antico prototipo greco ma anche dal modello riabilitato dal barone De Coubertin nel lontano 1896. Altri secoli, altro millennio, altra impostazione. L’apparente allargamento della partecipazione a specialità in cui solo poche nazioni primeggiavano (vedi scherma, nuoto, la stessa atletica leggera, per non parlare del calcio) ha portato a un’esasperazione dei criteri di qualificazione e partecipazione ma non ha eliminato l’ovvio gigantismo nella dilatazione delle gare, delle medaglie e dei podi”.
Non meno rilevante l’importanza politica internazionale che i Giochi hanno assunto negli anni: secondo Poto “nel corso delle ultime edizioni la temperie politica non ha reso immune lo sport dalla geopolitica dei blocchi. Il boicottaggio dei Giochi di Mosca 1980 – dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan – ha lasciato un’onda strisciante di rinunce, sia pure meno clamorose rispetto a quell’edizione spartiacque”.
L’inserimento nel programma di discipline chiaramente professionistiche, come il tennis, dei professionisti del ciclismo e del calcio, dei campioni del basket professionistico della Nba, o il golf, ha privato lo spirito della manifestazione di quell’alone passionale proprio del dilettantismo: “È evidente che per un tennista vincere il torneo di singolare a Parigi 2024 assicura molto meno prestigio di un successo a Wimbledon o al Rolland Garros – sottolinea Poto -: ricordiamo che il pentathleta nativo americano Jim Thorpe ebbe revocate le medaglie d’oro vinte nel pentathlon e nel decathlon ai giochi di Stoccolma 1912 per aver riscosso un modesto premio in denaro nella vita civile”.
Analizzando l’evoluzione gigantista dei Giochi, anche “il Villaggio olimpico non è più il contenitore di un incontro intercontinentale oltre che interrazziale, ma è solo un confuso aggregarsi di arrivi e partenze, in coincidenza del giorno delle gare – dice Poto -. Irripetibile un gossip come il presunto fidanzamento durante Roma ’60 tra Livio Berruti e Wilma Rudolph, conosciutisi e frequentatisi per l’occasione in quella sede”.
L’esasperazione competitiva ha portato a vistosi eccessi nel doping, continua Poto: “La filosofia è ‘per una medaglia si fa tutto’ anche perché un podio olimpico regala premi federali sussidi degli enti olimpici, sponsorizzazioni, una popolarità mediatica senza confini: è quasi una previdenza integrativa per il futuro. Purtroppo chi infrange si assicura un know how più solido dei controllori. Ecco che squalifiche per doping comminate 4 o 5 anni dopo la gara incriminata rendono insulso il provvedimento gettando una coltre di scarsa trasparenza e credibilità all’Olimpiade stessa. La vicenda del marciatore italiano Schwazer, al di là del merito, ma nella sola osservazione dei tempi della giurisprudenza punitiva, indica un percorso poco esemplare”.
Anche i boicottaggi che hanno caratterizzato le edizioni di Montreal 1976 (32 Paesi africani e asiatici contro la partecipazione della Nuova Zelanda, rea di mantenere rapporti rugbistici con il Sud Africa dell’apartheid), Mosca 1980 (Stati Uniti, Cina e altri 60 Paesi per protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979) e Los Angeles 1984 (Urss, Cina, Germania Est e altri 14 Paesi per un clima esplicitamente restrittivo dei movimenti dei partecipanti in violazione con la Carta olimpica, che non assicurerebbe la sicurezza degli atleti e per una campagna giornalistica e sociale antisovietica) ci ricordano che la politica sempre più si è interfacciata con i Giochi: anche oggi, secondo il giornalista“la conflittualità politica getta un’ombra sinistra sull’effettuazione dei Giochi di Parigi 2024. Con un Macron che minaccia di mandare truppe francesi a titolo di intervento nella guerra russo/ucraina, con i concittadini di Putin esclusi per definizione dall’evento, con il disastroso contenzioso Israele/Hamas che destabilizza il mondo, non solo l’Asia, l’Olimpiade non risponderà più al dettato di momento di pace come sospensione ideale dai conflitti, ma semmai ulteriore vetrina per conflitti ed esclusioni”.