Il lavoro e il riscatto della dignità umana attraverso il lavoro sono al centro del processo storico concreto con il quale si è creata l’Europa. Il suo affermarsi nei decenni come comunità di popoli sconta spesso terribili ostacoli: pagine buie come la strage di Marcinelle o le persecuzioni imposte oggi a tante persone e famiglie in fuga da guerre e sciagure.
L’Europa non è però rimasta un ideale, è già una realtà politica e civile concreta senza la quale il nostro Paese sarebbe già fallito da tempo. Inoltre, complice la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia, l’Unione europea ha cominciato a mettere in campo azioni di una portata inedita come, tra le altre, NextGenerationEu, salvando l’Italia dallo stallo economico dettato dal Covid, il Green Deal e lo stesso Pilastro europeo dei diritti sociali.È urgente che si rafforzi questa prospettiva, sia assicurando la dignità del lavoro sia mettendo in campo uno sviluppo che sia sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale: le due cose devono viaggiare insieme.
Sul primo aspetto, anche per evitare concorrenza sleale tra Paesi giocata su salari bassi e su basse tutele e costi dei sistemi di welfare, innanzitutto il Pilastro europeo dei diritti sociali va messo a terra con un mix di sanzioni e premialità, in tutti i Paesi membri. Purtroppo l’Italia per prima oggi se ne discosta avendo cancellato una misura di reddito minimo per tutte le persone e famiglie in povertà assoluta e continuando di fatto a rimandare, in qualunque forma seria sia, la realizzazione di un salario minimo. Inoltre il Pilastro deve completarsi integrando e rendendo effettivi i diritti, oggi negati, di chi si muove o migra dentro e fuori lo spazio dell’Unione, e avendo al suo fianco norme che obblighino le aziende anche nelle loro filiere globali, al rispetto dei diritti umani e dell’ambiente.
Va affermata l’equità che della dignità è condizione imprescindibile, perché il lavoro è leso da una sempre più iniqua distribuzione della ricchezza che esso produce: si cancellino i paradisi fiscali, si tassino correttamente le multinazionali, si tocchino extraprofitti e grandi ricchezze cresciute vertiginosamente anche durante la pandemia, si penalizzino le transazioni fatte solo per fare soldi accrescendo la sempre più esplosiva bolla finanziaria globale. È urgente una conversione fiscale e finanziaria: si cambi rotta per premiare lavoro e famiglie, invece delle rendite improduttive e della speculazione, e per favorire gli investimenti di lungo periodo in uno sviluppo sostenibile, in particolare nel Green Deal europeo.
E siamo così al secondo aspetto, il tema dello sviluppo. Il Green Deal europeo non va rifiutato, anzi, anche per creare occupazione, la conversione ecologica insieme alla transizione digitale sono già oggi un riferimento mondiale che favorirà nuovo sviluppo nei Paesi più poveri. Serve accentuarne le misure sociali e rafforzare il piano per l’economia sociale, per una transizione del mondo del lavoro che non metta ai margini nessuno.
Per dargli gambe occorre un ingente aumento delle risorse destinate al bilancio europeo e meccanismi di debito comune per sostenere una grande stagione di investimenti aperta alla cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, insieme alla scelta di una politica industriale comune e al perseguimento dell’autonomia continentale nei settori strategici che ci permettano di non essere divisi di fronte all’egemonia delle grandi potenze mondiali. Ma, non ultimo, va sancito che non è sviluppo sostenibile quello fatto con l’economia di guerra e di esportazione della guerra: siamo fornitori anche come Italia di tante dittature, tra cui l’Arabia Saudita, e continuiamo di fatto ad esserlo anche oggi.
*vicepresidente nazionale Acli, responsabile Lavoro