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Attacco su centro commerciale di Kharkiv, tra le vittime Iryna e la figlia Maria. Don Semenkov: “Siamo una chiesa in guerra”

È il vescovo greco-cattolico Vasyl Tuchapets, esarca di Kharkiv, ad annunciare in un comunicato che nell’attacco russo del 25 maggio all'ipermercato "Epicentr" hanno perso la vita anche Iryna e sua figlia Maria, 12 anni. Erano parrocchiane della Cattedrale di San Nicola Taumaturgo a Kharkiv. La città ha indetto per oggi, 27 maggio, una giornata di lutto cittadino

(Foto AFP/SIR)

“Un giorno triste”. È don Grygoriy Semenkov, cancelliere della diocesi latina di Kharkiv-Zaporižžja, a raccontare al Sir come la città di Kharkiv si è risvegliata oggi a due giorni dall’attacco russo contro un ipermercato della catena Epitsentr. Almeno 11 persone sono state uccise e 50 ferite, tre in modo grave o gravissimo. Ma il bilanciò è assolutamente ancora provvisorio. Il centro vende elettrodomestici e prodotti per il fai da te, è stato colpito da due bombe a navigazione satellitare e al momento della deflagrazione “più di 200 persone” potevano trovarsi al suo interno. Tra le vittime ci sono purtroppo anche Iryna Myronenko e sua figlia Maria, 12 anni, parrocchiane e volontarie della Cattedrale di San Nicola Taumaturgo di Kharkiv. È il vescovo greco-cattolico Vasyl Tuchapets, esarca di Kharkiv, a farlo sapere in un comunicato diffuso dall’eparchia, esprimendo le sue condoglianze ai parenti. Lunedì 27 maggio – scrive l’esarca – la città ha indetto una giornata di lutto cittadino. “Preghiamo per i morti e per tutte le persone colpite dall’atto terroristico della Federazione Russa”.

Sulle pagine Facebook dell’esarcato greco-cattolico di Kharkiv, si ricorda Iryna come una donna “di grande fede nel cuore, che non aveva paura delle difficoltà, ma faceva il bene con disinvoltura, con pieno impegno, con facilità e naturalezza”. Cantava nel coro e prendeva parte alla liturgia tutti i giorni prima del lavoro. “Oltre ad aiutare la sua numerosa famiglia, lavorando e servendo nella chiesa, visitava i parrocchiani malati negli ospedali, non perdendo mai l’occasione di aiutare”. “Ringraziamo Dio per il dono della tua vita e per l’esempio di umanità e forza femminile che hai dato! Ci vediamo in paradiso!”, si legge in uno dei messaggi.

Le immagini pubblicate sui social network ucraini mostravano l’edificio con il tetto squarciato e un’enorme colonna di fumo nero che fuoriusciva. Secondo le autorità, sono andati a fuoco 10.000 metri quadri di struttura. Don Semenkov racconta che per fortuna, le fiamme sono state spente e che i vigili del fuoco sono riusciti a riportare la situazione sotto controllo. Sono quindi potuti entrare dentro l’edificio alla ricerca ora delle persone ancora disperse., mentre i vigili del fuoco spengono con l’acqua le fiamme innescate dagli attacchi.

La città di Kharkiv, che prima della guerra aveva una popolazione di 1,5 milioni di abitanti, si trova vicino al confine russo nel nord-est dell’Ucraina. Viene regolarmente presa di mira dalle forze di Mosca, che il 10 maggio hanno anche lanciato un’offensiva di terra nella regione. Don Semenkov conta i chilometri conquistati dalle forze russe, 10, 12 chilometri ma – aggiunge – “non ce la faranno ad arrivare in città”. Ha un messaggio da dare all’Italia? “Pregate per la pace – risponde il sacerdote – ma pregate anche perché abbiamo la forza di proteggere la città”. Il pensiero di don Semenkov va in particolare ai bambini, all’indomani della Giornata mondiale dei bambini che in nome anche della pace, che si è celebrata domenica 26 maggio a Roma con il Papa. “Quando li vedi, sembrano tranquilli, ma loro sentono tutto e guardano la guerra con i loro occhi. Mai avrebbero dovuto vedere cose simili. E invece vedono le bombe cadere e distruggere le case. E soffrono. Saranno ferite che dureranno per tutta la vita e che necessiteranno di essere curate”. Intanto, la vita in parrocchia va avanti. Se le condizioni lo permettono, dal lunedì al venerdì, c’è la distribuzione di beni di prima necessità alle persone che ne hanno bisogno. C’è anche un progetto sostenuto dalla Norvegia: due macchine, ogni giorno, si mettono per strada raggiungendo i villaggi della regione, in particolare quelli presi di mira dai combattimenti. Si controllano lo stato delle case, se le persone hanno bisogno di aiuto e si torna poi con il necessario: “È una forma di controllo umanitario del territorio. Siamo una chiesa in guerra”.

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