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Attentato a Fico: torna la violenza politica. E si conferma la minaccia Russia-Cina

I colpi di arma da fuoco sparati contro il premier slovacco riportano alla ribalta il problema di una politica sopra le righe, dai toni estremi, fortemente polarizzata, che può indurre alla violenza. D'altro canto la stretta di mano Putin-Xi Jinping conferma l'alleanza tra due pericolosi regimi. In questo scenario si comprende il valore di una Europa "faro" di pace, democrazia e diritti

(Foto ANSA/SIR)

Non ci sono – evidentemente – legami diretti tra il vile attentato al premier slovacco Robert Fico e l’incontro a Pechino tra Vladimir Putin e Xi Jinping. Eppure qualche punto di contatto potrebbe rilevarsi.
Juraj Cintula, il 71enne che ha riversato sul capo del governo di Bratislava alcuni colpi di arma da fuoco è persona dichiarata “pericolosa”. Afferma di essere contro le scelte del governo del suo Paese e per questo si affida alla violenza. Il suo passato è tutt’altro che trasparente. Fico, subito soccorso, dovrebbe superare la prova, anche se le sue condizioni permangono gravi. Nei giorni scorsi da tutta Europa sono giunte dichiarazioni di sostegno alla sua persona e di condanna dell’attentato.
E non giustifica certo la violenza il fatto che il premier Fico sia un politico dal profilo equivoco: nazionalista al massimo grado, antieuropeo, putiniano di ferro, convinto che la libertà di espressione e i fondamenti dello stato di diritto possano essere aggirati per interessi particolari e di potere. Una figura la sua e un governo che poco hanno a che fare con la stessa Unione europea.
Rimane il problema di fondo: ossia si registra un nuovo episodio di violenza politica, dopo una serie di eventi – di varia caratura – registrati nelle ultime settimane. Diversi dei quali in Germania, ma anche in Francia e Paesi Bassi. Violenza che nasce da un clima politico esasperato, con forti polarizzazioni, con toni sempre eccessivi che stanno accompagnando la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo e sulla quale si innestano elementi e scontri regionali e nazionali. Dai leader e dai candidati in campo occorre pretendere, invece, moderazione, capacità di dialogo, argomentazioni anziché invettive rivolte agli avversari. La democrazia è anzitutto questo.
Non va trascurato che, sempre in Europa, sono in atto forme di politica anti-liberale: ce lo ricordano i casi di Ungheria, Georgia, Bielorussia (quest’ultima una sanguinosa e minacciosa dittatura). Vi sono inoltre forme eccessive, finora solo nei toni, di scontro politico ad esempio in Spagna-Catalogna e nei Paesi Bassi (formazione del nuovo governo di forte impronta nazionalista, antieuropea e anti-migranti). Si collocano invece nel solco di un dibattito pre-elettorale i toni, comunque sopra le righe, della diatriba politica in Francia, Italia, Polonia e altre nazioni Ue.
Sull’altro versante sta l’incontro Russia-Cina, con l’amichevole stretta di mano tra Putin e Xi (nella foto), due figure di autocrati a capo di regimi di ferro al loro interno, dai forti tratti imperialisti, che si ritrovano alleati contro le democrazie occidentali. Considerando fra l’altro il neocolonialismo economico di Pechino e la tragedia della guerra in Ucraina scatenata da Mosca. Due esempi di quella politica che vorrebbe il mondo senza regole (o solo con le proprie regole), costituendo una oggettiva minaccia per la pace, la convivenza tra le nazioni, i diritti fondamentali, la libera economica, il tutto condito – qualora questi protagonisti lo ritenessero necessario – dal ricorso alla forza militare.
In questo scenario l’Europa “faro di democrazia”, evocata da David Sassoli, appare ancora più utile, necessaria, irrinunciabile. Il mondo ha bisogno di multipolarità, di regole, di impegno comune per la pace, per affrontare il cambiamento climatico e la rivoluzione digitale, per tener testa allo strapotere della finanza e della criminalità organizzata, per lenire le ferite di quella gran parte di umanità che lotta ogni giorno contro povertà, fame, malattie, violenze. Il mondo ha ancora bisogno dell’Europa unita.

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