Venerdì Santo in Ucraina: nel Paese che da due anni non vede ancora la luce della Pasqua

Centro Caritas Santa Elisabetta di Mukachevo: siamo venuti qui per ripercorrere insieme alle operatrici i volti di un "Venerdì Santo" che da due anni l'Ucraina sta vivendo, senza ancora intravedere "la luce della Pasqua". Gli sfollati, i soldati sul fronte e le mamme rimaste, i poveri: l'emergenza non è finita e la paura ha volti diversi. Non ci sono solo i traumi dei missili e dei droni sulle città ma anche il trauma di aver perso tutto, di vedere i sacrifici di una vita andare in fumo

Mukachevo, foto dei soldati morti in guerra (foto Biagioni/Sir)

(da Mukachevo) Gli sfollati con la vita andata in frantumi. I soldati sul fronte e le mamme rimaste sole con i bambini piccoli, gli anziani traumatizzati e i poveri sempre più poveri. È l’umanità che passa al Centro Caritas Santa Elisabetta di Mukachevo. Sono i volti di questo Venerdì Santo in un Paese che da due anni non vede ancora la luce della Pasqua. È mattina presto e le volontarie sono già al lavoro in cucina per preparare il pranzo. Alle 12 ogni giorno, dal lunedì al venerdì, arrivano una quarantina di persone. Alcuni mangiano qui. Altri portano via i pasti caldi. Altri ancora vengono serviti a domicilio. Sono 20 le volontarie che gratuitamente a turno rendono possibile questo servizio. Sono tutte donne. Segno che l’Ucraina si rialzerà anche grazie a loro.

Volontarie nella cucina della mensa del centro Caritas (Foto Biagioni/Sir)

La guerra ha colpito pesantemente soprattutto chi era già povero. Sono tante le persone che bussano alle porte delle parrocchie e i sacerdoti indicano questo centro dove oltre al cibo, è possibile trovare vestiti caldi, medicine, una assistenza sanitaria, spesso semplicemente una parola amica. La porta è sempre aperta, assicura Katerina Haylik, direttrice del Centro. Ma ai poveri in città si sono aggiunti gli sfollati della guerra. Katerina ha ancora vivo negli occhi il ricordo dell’emergenza vissuta nei primi giorni della aggressione russa su vasta scala nel 2022. Le persone arrivavano senza niente, a bordo di treni, macchine e bus, dopo anche 35 ore di viaggio. Alcuni hanno proseguito il viaggio verso i paesi europei. Altri hanno preferito rimanere in Transcarpazia.

Katerina Haylik, direttrice del Centro con una operatrice

L’emergenza non è finita. La Via Crucis non si è mai fermata. Si è trasformata. Le persone che erano fuggite da Kyiv sono tornate indietro. Ma chi è fuggito dalle terre occupate nel Donbass, o dalle città vicine al fronte come Kharkiv, Odessa, Mariupol, Kramatorsk sono rimaste qui. Non solo è pericoloso, molti hanno perso la casa, i missili hanno distrutto e ridotto in macerie interi villaggi e la gente non ha più un posto in cui tornare. La vita degli sfollati è una vita sospesa. Chi se lo può permettere, prende in affitto degli appartamenti. Altri sono accolti nei college dove prima della guerra studiavano gli studenti e vivono in stanze di pochi metri quadri anche in 2, 3 o 4 persone e la cucina è condivisa.

Mukachevo, anziani alla mensa del Centro Santa Elisabetta

A rimanere in Ucraina sono soprattutto gli anziani che non se la sentono di affrontare un viaggio verso luoghi sconosciuti. È gente fortemente traumatizzata. Anche la paura ha volti diversi. Non ci sono solo i traumi dei missili, la velocità ipersonica con cui arrivano senza avvertimento. Non ci sono solo i droni che passano indisturbati per le strade delle città o il rumore delle esplosioni. “C’è anche il trauma di aver perso tutto. Significa vedere i sacrifici di una vita andare letteralmente in fumo. Significa ripensare il futuro in un luogo estraneo e in un modo diverso”, spiega l’operatrice Caritas.

Nella Via Crucis che sta attraversando l’Ucraina, ci sono anche le donne con i bambini piccoli che hanno i mariti sul fronte. Non vogliono lasciare il Paese per rimanere il più possibile vicine a loro. Ma il “prezzo” di questa scelta è alto. La vita da sfollate per queste donne non è affatto facile.

L’aiuto di 2.000 grivne al mese per le famiglie con gli uomini al fronte non arriva più Aveva una durata di un solo anno. Da quello che raccontano al Centro, queste donne non prendono più nessun sussidio. Le casse del governo si sono svuotate e i nuovi poveri in Ucraina hanno il loro volto. Vengono alla Caritas per prendere cibo, alimenti e indumenti per bambini ma anche medicine da inviare sul fronte. Nella lista compaiono psicofarmaci leggeri per calmare dallo stress ma anche antidolorifici e farmaci per lo stomaco e il mal di denti. Da quello che si racconta qui, pare che manchino anche i soldi per comprare indumenti nuovi per i soldati.  Sono rimasti con le divise, le giacche e addirittura le scarpe che erano state date in loro dotazione due anni fa. Qualunque  nuovo acquisto è sulle spalle delle famiglie. È difficile, anzi, difficilissimo acquistare i giubbotti antiproiettile perché hanno prezzi altissimi, sfiorando addirittura le migliaia di euro.

Stazione dei bus a Mukachevo, ci sono solo donne a mettersi in viaggio (foto Biagioni/Sir)

Si fa fatica a vedere una luce in fondo a questo tunnel. “Viviamo così da due anni”, confida Katarina. Ha un messaggio da dare all’Italia? L’operatrice non esita a rispondere: “Pregate per noi. Pregate per la pace. Ma soprattutto vorrei chiedervi una cosa: abbiate cura delle nostre donne che ora vivono da voi. Sono mamme con bambini piccoli. Li hanno portati nel vostro Paese per strapparli alla guerra e portarli in una terra sicura e protetta. Prendetevi cura dei bambini e dei ragazzi che ora studiano nelle vostre scuole e abitano nelle vostre città. Il nostro futuro dipende anche da loro. E poi vorrei ringraziare il vostro paese, la vostra chiesa, la Caritas per tutto l’aiuto che abbiamo ricevuto. Senza questo aiuto non sapremo come aiutare la nostra gente”.

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