(da Budapest) Pioggia di missili e droni su Kyiv e su tutto il territorio ucraino. È iniziato tutto due giorni fa quando le sirene a Kyiv hanno cominciato a suonare nel cuore della notte. La gente si è protetta nei corridoi delle case, nella parte cioè più sicura delle abitazioni perché prive di finestre. Sono cominciate le esplosioni. Tutti seduti per terra, cellulari alla mano per seguire tramite le app speciali l’andamento degli attacchi e le traiettorie dei missili, in attesa che finisse, nella speranza di non essere colpiti. I più piccoli si addormentano così. Sdraiati per terra, tra cuscini e coperte. Prendono sonno nonostante i cieli sopra le loro teste, prendono fuoco. 31 sono stati i missili lanciati sulla capitale dalle forze russe. Per fortuna la difesa antiaerea ha saputo intercettarli. Ma alcuni pezzi sono caduti ed oltre ai danni agli edifici, hanno colpito e ferito 13 persone. “Siamo sopravvissuti”, racconta in modo concitato don Taras Zheplinskyi, capo redattore del Dipartimento di comunicazione della Chiesa greco-cattolica ucraina.
Ma non è finito. Ieri, venerdì 22 marzo, “l’esercito russo ha lanciato il più grande attacco alle strutture energetiche ucraine dallo scorso anno”, ha dichiarato il ministro ucraino dell’Energia Herman Galushchenko. “Nella notte sono caduti oltre 60 droni Shahed e quasi 90 missili differenti contro l’Ucraina. L’obiettivo non era più solo colpire la capitale Kyiv ma l’intero Paese, prendendo di mira le sue centrali elettriche. Diverse le regioni colpite e sparse su tutto il territorio”, racconta il sacerdote che ne elenca qualcuna, Vinnytsia, Ivano-Frankivsk, Leopoli, Zaporizhzhia, Odessa, Dnipro. Lo scopo era riprovare, come l’anno scorso, a causare un crollo del sistema energetico del Paese. I bombardamenti hanno causato una serie di blackout in diverse regioni. Milioni di persone sono rimaste al buio senza fornitura di corrente e gas, soprattutto nella città di Kharkiv.
Secondo l’aeronautica militare ucraina, l’esercito russo ha attaccato 151 strutture energetiche ucraine con 12 missili balistici. C’è stato anche uno stop parziale alle due linee elettriche che alimentano Zaporizhzhia, la più grande centrale nucleare d’Europa, facendo temere il peggio. Non è stato ancora spento il grande incendio scoppiato vicino alla diga della centrale idroelettrica sul Dnipro, sempre nella regione di Zaporozhzhia, colpita da un missile.
Il bollettino del ministero dell’Interno a fine giornata è drammatico: cinque civili sono stati uccisi e 26 feriti. Più di 100 edifici sono stati danneggiati, comprese le infrastrutture energetiche. Due persone sono state uccise nella regione di Khmelnytskyi, altre otto sono rimaste ferite e una donna è stata salvata dalle macerie. Tre civili, tra cui una bambina di 9 anni, sono morti e altri 15 sono rimasti feriti nella regione di Zaporizhzhia. Tra i feriti c’è anche un poliziotto. Due persone sono rimaste ferite dai bombardamenti russi a Ivano-Frankivsk, una nella regione di Kharkiv. Nella regione di Ivano-Frankivsk, a seguito dei bombardamenti russi, l’ospedale cittadino e centinaia di case sono rimaste temporaneamente senza elettricità.
“Siamo feriti ma non distrutti”, commenta don Taras a termine di questa difficilissima giornata. “La gente è stanca, però nessuno è disposto ad alzare le mani davanti all’aggressore. Non è una guerra tra due Paesi che hanno avuto una discussione. È l’aggressione di un Paese contro un altro Paese indipendente e democratico. C’è una vittima ed un aggressore che non vuole dialogare. Dunque noi non abbiamo altra scelta. Forse siamo stanchi. Forse siamo feriti, però andiamo avanti per difendere la nostra patria”.