Alexei Navalny muore. Il mondo punta l’indice verso Vladimir Putin. Non poteva che succedere così. Il dissidente russo era una delle poche – certamente la più nota – figure che si opponevano al capo del Cremlino. A sua volta personaggio contrastante e contrastato, in passato sostenitore dello Zar, Navalny ne era divenuto coraggioso, benché disarmato, antagonista. Navalny era il simbolo stesso del dissenso russo; per questo perseguitato, minacciato, incarcerato senza un vero processo. Il Parlamento europeo gli aveva assegnato nel 2021 (mentre lui era ai ferri nel suo Paese) il Premio Sacharov per la libertà di pensiero. Il misterioso decesso, sul quale sarà difficile avere certezze, ora lascia la Russia – in guerra contro l’Ucraina e alla vigilia dell’ennesima elezione-referendum pro establishment – senza oppositori del suo calibro e della sua notorietà.
Il mondo si è subito mobilitato. La notizia del decesso è arrivata subito su tutti i mass media; dichiarazioni roboanti da (quasi) tutti i leader politici; social media a dar manforte. E tante manifestazioni, più o meno improvvisate, in centinaia di piazze. Nel “resto del mondo” si piange – pressoché ovunque – la morte di Navalny, si parteggia per moglie e figli e per lo stesso popolo russo. In Russia il clima è ben diverso. Censura e repressione sono dietro l’angolo. Eppure c’è chi depone fiori davanti alla casa moscovita dei Navalny e chi scende in diverse piazze per inneggiare alla libertà. “Di tutti gli oppositori di Vladimir Putin, Navalny era, ovviamente, la personalità più brillante e forte. E, a quanto pare, l’unico avversario che Putin considerava veramente serio e pericoloso”, scrive Anton Orech su Novaja Gazeta.
La parte più penosa tocca alla famiglia. “Non so se credere o meno a questa notizia, la terribile notizia che riceviamo solo da fonti governative russe”: così si è espressa Yulia Navalnaya, la moglie del dissidente, parlando dal podio alla odierna Conferenza sulla sicurezza a Monaco. “Perché da molti anni, e lo sapete tutti, non possiamo fidarci di Putin e del suo governo. Mentono sempre”. La signora Navalnaya ha poi detto: “ho pensato a lungo se dovevo venire qui o volare immediatamente dai miei figli, e poi ho pensato che cosa avrebbe fatto Aleksei al mio posto. E sono sicura che lui sarebbe rimasto”. Ha quindi aggiunto: “voglio che Putin, tutti coloro che lo circondano, gli amici di Putin, il suo governo, sappiano che si assumeranno la responsabilità di ciò che hanno fatto al nostro Paese, alla mia famiglia e a mio marito, e questo giorno arriverà molto presto”. Ha poi rivolto un appello alla comunità internazionale e a tutte le persone nel mondo: “dobbiamo unirci e combattere insieme questo male, questo orribile regime in Russia”.
Le voci del dissenso. “È una notizia terribile”: il commento del premio Nobel per la pace Dmitry Muratov, alla morte di Navalny. Mentre circola la prima ipotesi che un “coagulo di sangue” abbia fermato la vita di Navalny, Muratov dichiara: “sono sicuro che il coagulo di sangue (se è stato lui) è una diretta conseguenza della sua 27ma condanna in cella di punizione”, che significa “immobilità, cibo ipocalorico, mancanza d’aria, freddo costante”. Alexei Navalny sarebbe stato sottoposto a tormenti e torture per tre anni, “cosa che il corpo non può sopportare”. E aggiunge in un post scriptum Muratov: “tutto il personale medico che opera nella colonia deve essere dotato di videoregistratori. Chiederemo la documentazione: quando sono arrivati i medici, come è stata fornita l’assistenza, se sono state sfruttate tutte le opportunità per salvarlo”. Secondo Mikhail Khodorkovsky, l’oligarca in esilio, fondatore di “Open Russia”, “Vladimir Putin è personalmente responsabile della morte prematura di Navalny, avendone prima autorizzato l’avvelenamento e poi incarcerandolo”. Dmitry Gudkov, leader del “Partito del cambiamento”, aggiunge il suo parere: “anche se Alexey fosse morto per cause naturali”, queste “sarebbero legate al suo avvelenamento e alle ulteriori torture in prigione. Il sangue è su Putin. Uno in più che si aggiunge alle centinaia di migliaia di morti di questa guerra”.
Repressione in agguato. Nelle prossime ore e nei prossimi giorni occorrerà verificare come le autorità russe tratteranno la vicenda. Se, ad esempio, il corpo, dopo l’autopsia, sarà restituito ai familiari e se sarà permesso un funerale pubblico. Ma voci circolanti con insistenza sostengono che saranno vietate le esequie, almeno pubbliche: la repressione di ogni forma di protesta è in agguato. Anche perché al Cremlino non si ignora che il mondo ha i fari già puntati su Mosca per la carneficina in atto in Ucraina…
Condanna internazionale. Sul fronte occidentale si sono – come si diceva – moltiplicate le dichiarazioni sul caso. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, turbata per la scomparsa di Navalny, ha affermato: “Putin non teme altro che il dissenso del suo stesso popolo”. È “un triste promemoria di ciò che rappresentano Putin e il suo regime. Uniamoci nella nostra lotta per salvaguardare la libertà e la sicurezza di coloro che osano opporsi all’autocrazia”. Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, ha detto: “il mondo ha perso un combattente il cui coraggio attraverserà le generazioni”. “Sono inorridita dalla morte del vincitore del Premio Sakharov. La Russia gli ha tolto la libertà e la vita, ma non la sua dignità. La sua lotta per la democrazia continua a vivere”. Sulla stessa linea le cancellerie di mezzo mondo. “La morte di Alexei Navalny, durante la sua detenzione, è un’altra triste pagina che ammonisce la comunità internazionale”: sono parole della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Esprimiamo il nostro sentito cordoglio e ci auguriamo che su questo inquietante evento venga fatta piena chiarezza”. Alle voci autorevoli si aggiunge quella del presidente Usa, Joe Biden che accusa direttamente Putin. Da Mosca risposta sdegnata. Difficile credere al regime.