(da Lisbona) I racconti sono un fiume in piena. Gli allarmi che interrompono in continuazione le lezioni all’università. La bomba che ha colpito un pullman pieno di gente, “appena dietro di me”. E ancora amici, conoscenti, familiari, feriti o morti sotto i colpi di artiglieria. La via crucis dei giovani ucraini è scritta sulla loro pelle. È una lacrima che non scende ma è scolpita nei loro occhi. Viktoria ha 19 anni e viene da Leopoli. È strano per lei essere qui a Lisbona. “Ogni volta che vedo un aereo nel cielo – racconta – mi fa paura. Penso possa essere un missile. Poi mi fermo, mi dico di essere al sicuro, e mi tranquillizzo”. La guerra è così, ti entra dentro. Accanto a lei, c’è Olena, 19 anni. “È terrificante, difficile da raccontare. Ti svegli la mattina, ma non sai cosa ti succederà quel giorno e dove potrai essere dopo qualche minuto. La guerra distrugge ogni cosa, porta via anche i nostri piani di vita, i sogni. Abbiamo visto morire tante persone. Il mio sogno? È che tutte le persone che hanno dovuto lasciare le loro città, possano un giorno tornare a casa”. Olena e Viktoria sono qui anche per raccontare cosa sta succedendo nel loro Paese. Vogliono che si sappia la realtà. Ma, ammettono, fanno fatica a pensare ad un futuro riconciliato. I cuori sono troppo feriti e il passo del perdono è – almeno adesso – un salto in un abisso troppo profondo. “Non riusciamo a perdonare”, confidano, “perché non vediamo il senso di colpa per quello che stanno facendo al nostro Paese. Abbiamo paura che se perdoniamo, loro tornano. Il perdono? Non ora, forse tra qualche anno. Abbiamo bisogno di tempo”.
“Donetsk, Odessa, Lutsk, Kharkiv, Kiev. La maggior parte di questi ragazzi hanno vissuto la guerra in prima persona. Vengono tutti da territori che sono stati occupati dai russi per vari periodi di tempo e da città che sono state bombardate intensamente. Sono i primi testimoni oculari di quanto vive il nostro paese oggi”. Mons. Maksim Ryabukha, vescovo ausiliare dell’esarcato greco-cattolico di Donetsk, racconta il lungo viaggio in pullman che lo ha portato qui a Lisbona con un gruppo di giovani. “Mi sorprende la loro incolmabile voglia di vivere”, dice il vescovo. “Non sono schiacciati dalla realtà della guerra ma ragazzi che hanno alcune certezze chiare nel cuore: la prima è quella di essere stati chiamati a vivere. Loro vogliono vivere a pieno la loro giovinezza, conoscere nuovi amici, crescere, ridere, sognare, guardare il mondo, imparare. Questa esperienza di Lisbona è innanzitutto un’esperienza di giovani vissuta con i giovani”.
Oggi, qui a Lisbona, è anche il giorno in cui con la via Crucis, i giovani di tutto il mondo fanno memoria delle sofferenze e delle sfide che nei diversi contesti, i giovani vivono sulla loro pelle. Mons. Ryabukha dà voce alla sua “martoriata” Ucraina. “È chiaro in questi giovani anche il peso che portano.
“Si sente forte il grido dell’Ucraina. Siamo qui anche per dare voce a questo grido, per testimoniare al mondo quanto sta avvenendo nel nostro Paese, tutto il dolore drammatico ma anche tutta l’ingiustizia di una guerra che mai avremo voluto vivere”. “I vari passi della pace sono anche questi: dire al mondo cosa sta accadendo, perché è il silenzio che permette al male di operare mentre ogni volta che si alza la voce, ogni volta che il mondo si rende conto della realtà, l’umanità avanza nel difficile cammino verso la pace”. Il vescovo fa riferimento al rischio, soprattutto per i giovani, di chiudersi nel mondo virtuale, perdendo la presa diretta con la realtà. Ma “è l’incontro che smuove le scelte e mette in moto il cambiamento”.
“L’ultima parola sicuramente sarà la pace”, conclude mons. Ryabukha.
“Nessuno di noi dubita di sparire dalla mappa del mondo, anche se siamo coscienti che la Russia vuole solo questo”. E aggiunge: “Ai giovani il papa ha lasciato la certezza di essere da lui accolti e ascoltati. I giovani che hanno potuto incontrarlo qui a Lisbona ci hanno detto di averlo visto commosso. Ma questo incontro è stato importante anche per il Papa perché attraverso questi giovani e le loro storie, ha potuto toccare ancora una volta dal vivo tutta la sofferenza e il peso del nostro popolo e questo per noi è importantissimo”.