This content is available in English

I Popolari vincono, i Socialisti reggono. Ma chi governerà? L’Europa guarda al voto spagnolo

I risultati delle urne disegnano un Paese polarizzato, mentre appare in salita la possibilità di formare una coalizione in grado di governare. Da Madrid a Bruxelles: interrogativi in vista del voto per il rinnovo dell’Europarlamento

(Foto ANSA/SIR)

Chi esce vincitore dalle urne non è detto che debba governare. Chi ha governato perde la prima posizione in parlamento… ma potrebbe governare di nuovo. Gli esiti del voto spagnolo possono essere letti da diverse angolazioni, suscettibili di interpretazioni divergenti. Eppure qualche elemento indiscutibile c’è.
Anzitutto i numeri. Il Partito popolare del leader Alberto Nuñez Feijóo, finora all’opposizione, ottiene 136 seggi (33,1% dei voti popolari); il Partito socialista del premier uscente Pedro Sanchez si ferma a 122 (31,7%). Il sistema di ripartizione dei seggi premia il Pp e penalizza il Psoe. La formazione di estrema destra Vox – principale sconfitto dalle urne – ottiene 33 seggi (12,4%), perdendone 19. Sumar, coalizione di sinistra, raggiunge 31 seggi (12,3%). Agli altri partiti minori, territoriali o secessionisti (tra cui quelli catalani), spettano gli altri scranni.
Di fatto al Pp sfugge l’opportunità di ottenere da solo la maggioranza assoluta, come si augurava Nuñez Feijóo; ma neppure con l’apporto della ultradestra di Vox supera i 176 seggi che rappresentano la maggioranza alle Cortes. I Popolari aumentano infatti i consensi a scapito del loro possibile alleato.
D’altra parte i Socialisti (sconfitti alle recenti elezioni regionali) recuperano rispetto ai sondaggi. Tanto che Sanchez potrebbe persino tornare a governare se fosse in grado di ricostituire una maggioranza con la sinistra e le formazioni territoriali, solitamente distanti dal Partito popolare. Le quali, peraltro, alzerebbero il prezzo del sostegno al premier. E a Madrid già si parla di un possibile ritorno a elezioni entro l’anno.
Il voto spagnolo presenta inoltre delle specificità. I due principali partiti nazionali reggono alla prova del voto: cosa che accade in Germania, mentre non succede in altri grandi Paesi europei, come Francia e Italia. Spariscono o si smaterializzano forze fino a poco tempo fa emergenti, che hanno perso in fretta attrattiva elettorale: Ciudadanos e Podemos. Resistono invece le formazioni che difendono interessi territoriali, come appunto quelle catalane.
Dati elettorali e politici, questi, che vengono riletti a Bruxelles in vista del voto per il rinnovo del Parlamento europeo del giugno 2024. L’“onda nera” della possibile alleanza di Vox con il Pp – come qualcuno s’è affrettato a ribattezzarla – per ora si è fermata. Eppure le destre nazionaliste crescono e governano in diversi Stati membri dell’Unione. I Socialisti reggono all’urto. L’elettorato si conferma mutevole, polarizzato, tendenzialmente più orientato verso partiti conservatori e sicuritari, in genere propenso a bocciare chi governa ma non sempre pronto a fidarsi del “nuovo che avanza”.
Manca meno di un anno alle elezioni europee. Ogni scenario resta possibile. Eppure l’integrazione comunitaria non può correre il rischio di essere frenata o bloccata da interessi nazionali, di parte o di partito. Ne andrebbe del principio sul quale si basa la stessa Unione europea: la solidarietà tra i suoi popoli e i suoi Stati.

Altri articoli in Europa

Europa