“C’è molta preoccupazione perché proprio nel momento in cui si ricomincia a vedere la speranza, si viene attaccati. E questo fa male, è forse ancora più doloroso”. A raccontare in diretta da Mykolaiv, nel sud dell’Ucraina, il clima che si respira in città in questi giorni in cui sono ripresi gli attacchi e i bombardamenti, è Carla Cervellini, volontaria italiana dell’Operazione Colomba. È arrivata qui una settimana fa e con lei attualmente ci sono anche Carlo e Arianna, che ha solo 20 anni. Fanno parte del “Corpo nonviolento di pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII”, una “proposta di speranza” che dal 1992 vive a fianco delle vittime per creare, attraverso azioni nonviolente, spazi di riconciliazione e di pace. A Mykolaiv sono una presenza costante. Si danno il cambio per periodi più o meno lunghi. Da giugno scorso hanno vissuto qui una quindicina di volontari italiani. “Sono giovani – dice Carla – che hanno voglia di toccare con mano la situazione, conoscere la vita vera. Sono giovani che scelgono di venire sul campo per condividere con le persone che restano un tratto di vita insieme. Ogni volontario che torna a casa si porta indietro un’eredità. Chi arriva riceve in eredità la fiducia e i rapporti che sono stati costruiti da chi lo ha preceduto. È quindi un pezzo di storia che va avanti, mese dopo mese”.
Dopo mesi di pioggia e freddo, da qualche giorno a Mykolaiv è tornato a risplendere il sole e sta arrivando la primavera. In città esplode la voglia di normalità. Per strada si ricomincia a vedere un po’ di traffico. Ci sono famiglie e bambini ai parchi giochi. “Ma il ritorno alla normalità purtroppo è solo apparente”, racconta Carla. “E lo testimoniano gli ultimi due attacchi che ci sono stati ultimamente”. Il primo, una settimana fa, a Mykolaiv, dove è stato colpito un palazzo storico di oltre 200 anni, un luogo molto caro alla città. L’attacco ha provocato una ventina di feriti e due morti. “Siamo andati a vedere sul posto e siamo rimasti esterrefatti. Non è rimasto più nulla. Si vedono alberi sradicati e a terra, macerie, bruciato. Hanno colpito il cuore della vita culturale della città in un momento in cui la città si stava cercando di rialzare”. Ma l’allerta è continua. Nel pomeriggio del 3 maggio su Kherson c’è stato un altro attacco “terribile e coordinato”. Hanno preso di mira supermercati e fermate dell’autobus. Persone che aspettavano gli autobus per strada, che erano uscite per comprare delle medicine, che erano andate a fare la spesa. Il numero delle vittime è salito a 23, di cui due bambini e oltre 50 feriti. “È stato uno degli attacchi più grossi dell’ultimo periodo”, racconta Carla. “Quando è successo, eravamo in un momento di condivisione e preghiera qui al centro dove siamo a Mykolaiv e si sono subito sentiti salire la tensione e il dolore. Qui si conoscono tutti e molte delle persone ferite, sono amici o conoscenti. C’è quindi stato chi ha pianto”.
Il coprifuoco continua. A Mykolaiv rimane alle 22. Invece su tutta la regione di Kherson, da alcuni giorni, il coprifuoco è totale: non si può entrare né uscire dalla città. I bombardamenti si sono intensificati al tal punto che le autorità hanno dato il via anche alle evacuazioni volontarie di civili. Chi vuole può uscire dalla città attraverso corridoi umanitari. Fino a qualche giorno fa, i volontari italiani, insieme ai loro partner locali, andavano in piccole missioni a Kherson e nei villaggi vicini per portare gli aiuti ma in questi giorni le missioni sono state interrotte perché è troppo pericoloso. “Non si sa quello che potrebbe succedere e la tensione è piuttosto alta”, spiega Carla. La preoccupazione è che le persone rimaste, soprattutto nei villaggi, possano presto rimanere con il passare dei giorni senza viveri.
Le giornate degli volontari italiani sono molto intense. “Da quando sono arrivata, non c’è stato un attimo di pausa”, racconta Carla. Le giornate sono scandite tra la preparazione dei pacchi, carico e scarico dai furgoni e poi il momento più intenso è la consegna degli aiuti alle persone. Negli ultimi tre giorni, ogni giorno, sono stati distribuiti pacchi a circa un centinaio di persone, soprattutto anziani, donne e bambini. Ma la “missione” dell’Operazione Colomba non è solo quella di aiutare. È “non far sentire solo e abbandonato chi è rimasto in questa disumanità”. “L’altro giorno – conclude Carla – una ragazza mi diceva:‘L’uomo è libero, può scegliere di uccidere o può scegliere di amare. Noi qui con la guerra stiamo vedendo uomini che stanno scegliendo volutamente di uccidere e distruggere e questo ci lascia senza parole, disarmat’. Perdi la fiducia e la speranza nella vita. Poi ti accorgi che ci sono anche tante altre persone che invece scelgono di amare e queste persone ti ridanno la forza di non crollare e di continuare a vivere e andare avanti’”.