Sono lontani gli anni che seguirono la Seconda guerra mondiale, con assetti territoriali e politici determinati dalla chiusura di un conflitto avvenuta attraverso il posizionamento degli eserciti piuttosto che con la formula dei trattati di pace. Quegli anni ci hanno mostrato che dire Finlandia significava poggiarsi su un equilibrio apparentemente labile, ma capace di produrre i lineamenti di un ordine internazionale. Unilateralismo, bipolarismo e multilateralismo guardando la Finlandia, trovavano un paradossale momento di incontro.
Come ogni momento, o elemento, di equilibrio era prevedibile che non potesse durare per sempre e che fosse soggetto al correre della storia. Per questo forse non ci si meraviglia che oggi la Finlandia sia diventato il trentunesimo partner della Nato, di un’alleanza militare anch’essa nata dagli equilibri successivi alla seconda guerra mondiale, ma l’unica di fatto esistente e funzionante nello scacchiere mondiale. Un’alleanza che ancora opera e ritiene di poter operare. Adesso abilitata a farlo, ufficialmente, anche in Finlandia.
Del resto la funzione di area cuscinetto tra quello che era l’impero sovietico e il blocco occidentale era già cessata da tempo, anche per l’illusione che gli assetti successivi alla caduta del muro avessero definitivamente tracciato lo schema (non la realtà!) di una nuova Europa, se non unita almeno ravvicinata. Quasi dimenticando che la fluidità è l’essere dei rapporti internazionali, e non da oggi. Fluidità che domanda non uno sguardo rassegnato o attendista, ma che richiede temperanza di esercizio di poteri e funzioni che singoli Stati, gruppi di Stati o anche forme di alleanze tra di loro, sono chiamati a mostrare per rendere credibile e quindi effettivo l’ordine tra le Nazioni.
Con la Finlandia nella Nato sembrano ormai confermarsi scenari di contrapposizione, e soprattutto un solco ancor più allargato, quel solco che il conflitto in Ucraina ha definito nel dettaglio, forse completando qualcosa di già esistente, anzi in atto.
A manifestarsi, di fronte agli eventi di un conflitto che non sembra aver fine ma che sta scrivendo relazioni inedite e configurando nuovi equilibri, non basta più un semplice desiderio di pace.
Tutti abbiamo chiaro che la realtà della pace, ad iniziare dalla martoriata Ucraina, va costruita attraverso atti concreti e non con semplici assetti o riassetti.
Del resto quello finlandese appare ben oltre un semplice schieramento, ma si configura come un nuovo modo di intendere i rapporti di forza tra blocchi di Nazioni. Ne sono esempio le reazioni all’ingresso nella Nato, tutte incentrate solo alla quantificazione della forza piuttosto che sul governo della stessa. Questo non rientra nella logica del confronto, ma piuttosto in quella della contrapposizione, con una lettura dei rapporti internazionali che andrà a declinare gli equilibri della forza anziché i semi della pace. Quei semi che in Finlandia portarono frutto. Non dimentichiamo che lì – eravamo sul finire negli anni ‘60 del secolo scorso – prese l’avvio quel “salotto degli ambasciatori” che attraverso un faticoso ma intelligente negoziato giunse all’Atto Finale di Helsinki e ad innescare un processo, tranquillo ma rivoluzionario ad un tempo. Un processo – come negarlo? – capace di produrre il disgregarsi delle monolitiche concentrazioni e assetti che in Europa sembravano destinati a non perder mai vitalità, forza ed effetti.
Quel “salotto degli ambasciatori” individuò tre grandi cesti che erano, è ancora sono, i fondamentali pilastri dell’ordine internazionale: la sicurezza, la cooperazione economica, l’ambito umanitario e cioè delle relazioni tra popoli e tra persone.
Il pensare oggi alla Finlandia significa ripercorrere anche quell’esperienza che rimane un modo validato dalla prassi per garantire non la tenuta del sistema internazionale, ma il suo funzionamento, la sua capacità di garantire la lettura dei processi, l’individuazione degli obietti ma in particolare la loro governabilità.
Gli effetti di quel processo hanno dimostrato che governare processi e situazioni, è il solo modo per disegnare scenari di pace, quella pace che non è mai un punto di arrivo, bensì la confluenza di interessi certamente diversi, ma uniti intorno ad un unico obiettivo.
Forse possiamo dire che quanto avviene in Finlandia è, ancora una volta, di interesse mondiale.
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Pontificia università lateranense