Le tradizioni quaresimali nel mondo germanico sono variegate e diversificate: ma, per quanto concerne l’alimentazione, il digiuno, le rinunce, l’astinenza, troviamo delle linee comuni che si perdono nella notte dei tempi, con storie e leggende che si intrecciano al gusto ed alla fede. Come ad esempio la tradizione delle zuppe quaresimali, estremamente semplici ma rese gustose e corroboranti dalla miscela giusta di panna acida, farina, tuberi, e aromi forti come l’aceto, il prezzemolo o il cumino e l’aneto, con l’aggiunta magari di pezzi d’aringa o crauti. La zuppa quaresimale oggi è un elemento di vita comunitaria nel corso della Quaresima, sia in Germania sia in Austria, e molto spesso appuntamenti parrocchiali o diocesani, in date prestabilite verso la Pasqua, trasformano dei convivi di cibo povero in momenti di fratellanza e di colletta: una calda tazza di zuppa per una offerta destinata alla Caritas locale o a progetti internazionali di solidarietà. In molte diocesi austriache è tradizione che amministratori pubblici e vescovi si incontrino per servire la zuppa a chi la chiede.
La Storia ci ha insegnato che il rapporto con digiuno e astinenza dalla carne ha portato anche a cercare delle scappatoie più o meno legali alle regole.Nel Medioevo uccelli e pollame furono sommariamente dichiarati animali acquatici e come tali equiparati ai pesci perché, secondo il racconto biblico della creazione, sono nati nello stesso giorno, o a causa delle loro code squamose, anche i castori vennero classificati come pesci.
Nelle terre germaniche, e non solo, furono soprattutto i monaci a sviluppare una grande inventiva alimentare: furono loro ad inventare i “piatti di carne finta” a base di purè, pesce, farine, ortaggi ricreati a guisa di arrosti, spiedini e torte ripiene per allontanare la fame di carne, uova o formaggi, rigidamente banditi.
I monaci del monastero svevo di Maulbronn interpretarono le regole dell’astinenza delle carni secondo la teoria del nascondimento: cioè, se Dio non vede, peccato non c’è. La leggenda narra che crearono il famoso “Maultasche” (una torta di pasta ripiena di spinaci, erbe aromatiche e carne tritata) dopo aver ricevuto il dono di un pezzo di carne, e per non indispettire il Creatore lo nascosero, sminuzzato, sotto una crosta di pasta in modo che Dio non si accorgesse che rompevano il digiuno. Quando non era l’inventiva, interveniva l’interpretazione teologica, e man mano alimenti potevano esser aggiunti, come, per esempio, nella Germania meridionale e in Austria il “pretzel”, il tipico pane salato e gustoso: perché con le sue “braccette” intrecciate simboleggia le braccia incrociate dei monaci in preghiera, e il suo nome deriva dalla parola latina “brachium” (braccio). Un’altra interpretazione dice che rappresenta una croce circondata da un anello a guisa d’aureola. Santa Hildegard von Bingen, Dottore della Chiesa, è ricordata, forse con un eccesso di fantasia, per le sue originali ricette atte a superare i morsi del digiuno ed a rendere la Quaresima un cammino più lieve per le sue monache, oltre che per il suo grande misticismo e la sua grande formazione spirituale e scientifica. I monaci erano particolarmente inventivi quando si trattava di birra, perché anche l’alcol era vietato durante la Quaresima, periodo in cui viene prodotta la cosiddetta “Birra forte”, particolarmente alcolica e nutriente. Invocarono più volte la regola “Liquida non frangunt ieunum – Il liquido non rompe il digiuno”. La leggenda narra che una volta venne inviato un campione della birra a Roma per far approvare il consumo dal Papa: ma stante il fatto che ancora non esisteva la pastorizzazione e che il viaggio verso Roma fu lungo e sottoposto a ampie giornate di sole già caldo, quando la birra forte arrivò era andata a male. Il Papa decise che essendo imbevibile era perfetta per la Quaresima. Già nel 1627, dieci monaci dei Frati minimi di San Francesco di Paola (o Paulaner) si trasferirono nel monastero di Neudeck ob der Au, nell’attuale Monaco di Baviera. L’ordine di San Francesco di Paola aderì al comandamento del “digiuno eterno”: tutto ciò che era animale tranne il pesce era proibito – ma birra e vino erano consentiti. I Paulaner iniziarono a produrre la propria birra dal 1634. A quel tempo chiunque poteva produrre birra senza una speciale licenza di produzione “per le proprie esigenze”. Poiché le regole del digiuno erano molto più rigide e i monaci spesso svolgevano un duro lavoro fisico, la birra era considerata essenziale, soprattutto durante la Quaresima. Nella Quaresima del 1651, i Paulaner iniziarono a servire la “Sankt-Vater-Bier” in onore del fondatore dell’ordine, il cui nome negli anni divenne l’attuale “Salvator-Bier”.
I riferimenti alle rigide tradizioni e regole alimentari che in passato regolavano la Quaresima sussistono ancora, almeno nell’aspetto tradizionale dell’approccio alla creazione di piatti che fossero consentiti e che si potessero fare senza tante privazioni. Ancora oggi molti si pongono la domanda di come il digiuno e l’astinenza debbano accompagnare la partecipazione del fedele al cammino verso la Pasqua. Il digiuno è diventato uno stile di vita nella società dei consumi e del benessere: le persone sono convinte di fare qualcosa di buono per se stesse e per il mondo se rinunciano a certe cose in modo permanente o per un certo periodo di tempo. Se è vero che molte nuove pratiche di digiuno anche immateriale si siano sviluppate (digiuno dall’auto, digiuno dalla televisione, dai social media, dall’acquisto di nuovi beni di consumo, dalla plastica) l’attenzione alimentare alla Quaresima mantiene una sua forza predominante per la fede cristiana.