“Una questione che stiamo seguendo con grande preoccupazione”. Sono le prime parole che pronuncia al telefono Jérôme Vignon, già presidente delle Settimane sociali di Francia (Ssf) e consigliere di Jacques Delors quando era presidente alla Commissione europea. La tensione in Francia è altissima. Non solo a Parigi ma anche in altre città, come Nantes e Rennes, si sono viste scene di vera guerriglia urbana nelle proteste contro la riforma delle pensioni voluta dal presidente Emmanuel Macron (che porta l’età pensionabile da 62 a 64 anni) e la decisione del governo di scavalcare il Parlamento ponendo la fiducia. A Nantes (nel Nordovest del Paese), circa 6.000 persone sono scese in piazza e in alcuni punti hanno eretto barricate dando alle fiamme cassonetti ed altri oggetti. A Rennes (nel Nord) un migliaio di persone sono rimaste bloccate in un centro commerciale dopo che una manifestazione studentesca ha tentato di fare irruzione nel complesso. A Parigi, circa 4.000 persone hanno manifestato a Place de l’Italie. Nonostante gli appelli alla calma della CGT, il sindacato che ha chiamato alle manifestazioni quotidiane in tutte le città, i dimostranti hanno dato vita a scontri con la polizia. Alla fine, si sono contati 76 fermi, secondo la prefettura.
Vignon, ma cosa sta succedendo?
Quello che si nasconde dietro la rabbia delle piazze è un sentimento persistente di disagio e la constatazione di non essere sufficientemente ascoltati. Chi manifesta è una parte importante della popolazione francese, in particolare la classe media più svantaggiata. Non i francesi più poveri ma quelli con redditi inferiori alla media. Sono spesso irregolari e precari. Queste persone continuano ad inviare messaggi molto chiari che erano quelli dei gilet jaunes nel 2019. La piazza sta dicendo che le loro difficoltà non sono riconosciute e che le grandi decisioni di politiche internazionale ed economiche non vanno nella direzione della giustizia sociale e di una equa ridistribuzione delle ricchezze. Si tratta di un problema persistente e di insoddisfazione sociale che è determinato dal punto di vista psicologica da una mancanza di riconoscimento e visibilità e da un punto di vista più pratico dalla concreta difficoltà di andare avanti. Sono fenomeni che si manifestano oggi nell’opposizione alla riforma delle pensioni.
Ma la riforma era necessaria?
È assolutamente necessaria, alla luce anche della situazione internazionale e dell’evoluzione delle finanze pubbliche francesi che da almeno 4 o 5 anni stanno degradando mettendo in pericolo la competizione e le risorse necessarie per investire in un contesto che sta diventando sempre più feroce. Si tratta pertanto di una situazione abbastanza tragica, perché – e lo dico come economista ed ex consigliere del presidente Delors per le questioni macroeconomiche -, la riforma non solo è necessaria ma urgente. Arriva purtroppo in un momento delicato e si applica ad una fascia di popolazione che già da molto tempo sta manifestando disagio. Economicamente quindi questa riforma è giustificata ma socialmente va a colpire proprio le persone che non dovevano essere colpite.
Come uscirne?
Tutti gli occhi in questo momento sono puntati sul Presidente della Repubblica perché nel sistema costituzionale francese è lui che detiene le chiavi di una situazione che lui stesso ha voluto creare. Dipende quindi da lui. Se fossi al suo posto, ridarei priorità al dialogo sociale, dando cioè avvio ad altre riforme di carattere sociale: garantire il benessere sul lavoro per i senior over 60 anni dando i mezzi necessari per poter consentire l’allungamento dell’età lavorativa; dare un miglior accesso alla formazione professionale per gli over 50; lavorare seriamente sulla precarietà soprattutto nei settori che la prevedono maggiormente come i servizi alla persona e la ristorazione; infine sostenere la partecipazione dei salariati alla governance delle aziende.
Perché su questo tema che richiama la giustizia sociale, l’episcopato francese ha preferito mantenere un profilo basso, evitando dichiarazioni pubbliche?
Anche per le presidenziali, i vescovi hanno preferito non prendere posizione né per Macron né per Le Pen. È triste dirlo ma bisogna considerare che la Conferenza episcopale di Francia sta vivendo un momento di profonda fragilità a causa della questione degli abusi. Penso però che ci sia anche la paura che esprimendosi in maniera troppo critica rispetto alla riforma, si rischia di indebolire ulteriormente il governo. È la destra e soprattutto l’estrema destra a trarre grandissimo vantaggio da questa situazione. Se ci fossero elezioni oggi, la Le Pen potrebbe vincere. Posso quindi comprendere perché alcuni vescovi non vogliono prestarsi a questo gioco.