“Ci sono già città fantasma. La gente sta cominciando ad uscire dalle aree più colpite e con le diocesi di Istanbul e Smirne ci stiamo mobilitando per l’accoglienza degli sfollati”. È il “nuovo volto” dell’emergenza terremoto, le persone in fuga dal freddo e dalle macerie, alla ricerca di un posto sicuro. A raccontarcelo è Giulia Longo, coordinatrice nazionale di Caritas Turchia per l’emergenza terremoto. Italiana, viveva a Gaziantep prima del terremoto. Anche la sua casa è stata distrutta dal sisma. Ora da Istanbul sta coordinando gli aiuti delle Caritas per l‘emergenza in tutte le regioni.
“Molti di noi hanno perso casa, amici, beneficiari, progetti”.
“E quindi in questo momento quello che stiamo facendo è coordinarci con tutta la confederazione di Caritas e chiedere un supporto tecnico di un gruppo di emergenza nel quale ci sono anche due persone di Caritas italiana”. Prendere un appuntamento con Giulia non è facile. È impegnata a rispondere al telefono e in “riunioni di emergenza”, dice scusandosi. Da Istanbul, insieme al gruppo di emergenza, gli operatori Caritas stanno coordinando le logistiche. Significa – spiega Giulia – trovare le strade sicure e libere attraverso le quali far arrivare gli aiuti. “Abbiamo iniziato anche a fare delle visite di campo per capire cosa possiamo fare insieme allo staff locale”. Dopo l’emergenza iniziale, sono ore importanti per il fronte degli aiuti.
La situazione nella diocesi dell’Anatolia, “colpita dal sisma, è disastrosa”. Sul posto, a Iskenderun, opera il direttore diocesano insieme allo staff di Caritas Anatolia. La gente lì ha bisogno di tutto, soprattutto di avere accesso ad acqua, luce e gas. A quasi 10 giorni dal sisma, il lavoro di Caritas Turchia si svolge sostanzialmente su due fronti: uno esterno alla zona colpita dal sisma dove si sta lavorando per l’accoglienza degli sfollati e per l’organizzazione di depositi e magazzini dove far arrivare i camion con il materiale degli aiuti. C’è poi il fronte interno alla zona colpita dal terremoto dove “con i primi permessi ricevuti, stiamo lavorando alla distribuzione di cibo, pasti caldi, coperte, vestiario. Negli unici spazi sicuri della diocesi di Iskenderun, la chiesa locale sta anche accogliendo una settantina di persone. Ora che le strade sono più percorribili, stiamo iniziando finalmente a raggiungere i villaggi limitrofi dove come diocesi lavoravamo anche prima del sisma, da Antiochia a Gaziantep, tutte zone che si trovano nell’epicentro del terremoto”.
La Conferenza episcopale turca si è data come missione in questa emergenza quella di “agire laddove nessuno sta agendo raggiungendo i più discriminati e i più dimenticati”. “In queste ore – racconta Giulia – è importante per noi capire chi non sta ricevendo aiuti e chi non è inserito ufficialmente nel sistema degli aiuti. Insomma, raggiungere la minoranza della minoranza”. La coordinatrice di Caritas Turchia ricorda che già prima del terremoto, l’Anatolia viveva in una situazione di grande vulnerabilità dovuta alla situazione economica, alla presenza di 5 milioni di profughi che ci sono in questo paese, e ad un confine – quello con la Siria – “che si porta dietro ferite molto profonde”. “Un dramma nel dramma”, sentenzia Giulia che fa “uscire tutto il buono ma anche tutto il negativo che c’è qui. Ossia la tanta solidarietà che si è generata ma anche le situazioni di conflitto e di sistema”. Giulia fa riferimento alle “situazioni di imparità” che si sono purtroppo create in questi anni di guerra, “tra profughi di serie A e di serie B”, tra “aspiranti profughi” e sfollati a causa del terremoto. Il lavoro della Caritas ora punta a raggiungere i villaggi più lontani. “Il nostro centro di ascolto online è ancora aperto. Chiediamo alla gente che cosa arriva e di cosa hanno bisogno. Diamo anche un supporto spirituale perché sono persone che hanno vissuto prima il trauma della fuga e ora il trauma del terremoto. Una situazione di sfollati due volte”. Anche la Caritas turca è preoccupata per la situazione in cui possono trovarsi i minori che nel terremoto hanno perso entrambi i genitori. “Sappiamo – dice Giulia – che quando ci sono grosse emergenze come questa e su confini così labili e poco sicuri come questi, purtroppo si aprono mercati che sono anche peggiori delle adozioni illecite. E questo vale per i bambini e le donne. Siamo preoccupati ma anche impotenti perché siamo una organizzazione piccola e non abbiamo potere”.
Un appello. “La situazione è molto più grande di quella che appare dai media”, dice senza girarci troppo attorno la coordinatrice italiana. “Agiamo in un paese con leggi molto strette che non riconosce la minoranza della Chiesa cattolica e dunque come Caritas siamo in grossa difficoltà. Noi chiediamo di essere ascoltati dalle istituzioni e dalle autorità con la stessa attenzione con la quale noi stiamo cercando di ascoltare questa gente in questa tragedia”.