(da Praga) “Il Papa è l’unico che vuole veramente la pace e per questo non chiude nessuna porta. Ho forti dubbi che da parte degli altri attori direttamente o quasi interessati ci sia una reale volontà di pace. E questo, secondo me, è l’ostacolo più grosso”. Ad un anno dalla vasta “operazione” militare russa in Ucraina, cominciata il 24 febbraio 2022, è mons. Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca e presidente dei vescovi cattolici della Federazione Russa, a tracciare un bilancio ed una prospettiva. “Se almeno ci fosse un desiderio di pace, forse riusciremmo a fare qualche passo in direzione della pace. Non voglio sembrare né cinico né scettico né troppo partigiano nei confronti della chiesa cattolica, ma chi crede davvero nella pace oggi è solo il Papa”.
Mons. Pezzi, lei vive a Mosca. Come è cambiata la Russia in questo ultimo anno?
È cambiata in una crescente presa di consapevolezza di un conflitto che da marginale è passato progressivamente ad interessare la vita quotidiana del Paese. Questo ha fatto sì che sia cresciuto anche un certo smarrimento, ci si chiede cioè se effettivamente valeva la pena. Certo, d’altra parte, troviamo anche persone sempre più convinte ma direi che lo stato d’animo che noto maggiormente, è quello di un certo malessere.
A livello economico che impatto ha avuto questo impegno militare?
Certamente ha avuto un suo effetto. Si nota, per esempio, una diminuzione nella qualità dei prodotti alimentari. Molte aziende che lavorano nel settore del vestiario hanno lasciato la Russia ed è molto più difficile importare. C’è certamente un aumento del costo della vita. Ci si permette quindi di andare meno fuori a cena. Non c’è o si è ridotta o si è diversificata la modalità di fare le vacanze. È crollato completamente il turismo in Russia. Si parla di un crollo del 92/93 per cento. Nel 2022 hanno visitato dall’estero la Russia non più dell’8 per cento di quelli che venivano normalmente. Ci sono state poi delle lamentale di chi dice che parte di quello che dovrebbe andare per il fondo pensione, viene destinato ai costi militari. Si dice anche che sono aumentati i controlli fiscali sulle aziende sempre per reperire i sussidi necessari per coprire i costi militari. Si tratta però di notizie che circolano ma che non sarei in grado di confermare.
Si parla di 200 mila soldati russi morti. Cosa si dice di loro in Russia?
In Russia non se ne parla molto. Intanto non ci sono cifre ufficiali, o almeno io non le ho mai lette. Quindi andiamo da alcune decine di migliaia fino ad alcune centinaia di migliaia. Non so dire chi ha ragione. Resta però un fatto: sono comunque tante le vittime. Non se ne parla molto se non per esaltare determinate azioni eriche svolte da alcuni soldati. Funerali non ce ne sono molti e in genere si svolgono in maniera modesta e senza enfasi mentre ho notato che in Ucraina ogni funerale è molto sentito e con una grande partecipazione di gente.
Come viene vissuto a livello sociale il fatto che la Russia sia additata come paese aggressore e sia sempre più isolata dal contesto internazionale?
Ha avuto paradossalmente un effetto boomerang. E questo è l’effetto voluto. Si dice cioè che la reazione contro la Russia è sproporzionata e che alla fine chi ci rimette è il popolo, che diventa così vittima di complotti stranieri.
Anche il Patriarca Kirill si è isolato con le sue posizioni a favore del Presidente Putin e della guerra?
Non sarei d’accordo nel dire che sia così isolato. Per lo meno nell’ambito dell’ortodossia ci sono alcune chiese ortodosse che hanno sin dall’inizio hanno sostenuto la chiesa ortodossa russa. Per quel che riguarda il conflitto, c’è – e questo è vero – una generale presa di distanza più diffusa.
Come uscire da questo impasse diplomatico e religioso che allontana ogni giorno il traguardo della pace?
Penso che in questo momento quello che occorre fare, sia non chiudere mai le porte, non chiudere mai al dialogo. In questo senso penso che rifiutare le possibilità di incontro e di dialogo sarebbe sbagliato. Questo non significa che bisogna per forza sposare le posizioni dell’altro o tacere. Però mi sembra che a priori rifiutare l’incontro, a qualsiasi livello, non fa che accrescere le distanze.
Come andrà a finire?
Andrà a finire bene perché siamo tutti nelle mani di Dio e questo non dobbiamo mai dimenticarlo. Dio ha permesso nella storia tanti eventi tragici. Ha permesso l’annientamento del popolo eletto di Israele. Ha permesso che accadessero le deportazioni. Eppure Dio ha continuato e continua a muovere la storia. Ma non la muove come un burattinaio. Dio muove la storia per amore. Occorre entrare in questa logica. Allora sì che si può dire – e non sentimentalmente, non per facili slogan – che realmente Dio se permette una cosa, è solo per un bene più grande. Per questo anche io oggi posso dire con sincera fiducia e speranza, che finirà bene.
Ma i cattolici russi e i cattolici ucraini, figli della stessa Chiesa, sono disposti a stringersi le mani e a creare tra i loro Paesi un piccolissimo ponte di pace?
Credo di sì, perché già sta avvenendo. Per esempio, a Praga ci siamo ritrovati per la tappa continentale del Sinodo. A me ha colpito la facilità che c’è stata nel rapporto tra vescovi e laici dei due Paesi. Certo, questo non significa che uno non possa fare fatica o che non ci siano opinioni e approcci diversi. Ma sono rimasto sinceramente colpito dal fatto che l’essere figli di uno stesso Padre non sia una bella frase.
Quale può essere il loro contributo alla difficile causa della pace?
Il perdono. Non mi stancherò mai di dirlo. È la scoperta che abbiamo fatto il 25 febbraio dell’anno scorso e non ho smesso neanche un giorno di dirlo. Se non ci si riesce a perdonare, anche su un fronte di battaglia, ci porteremo questa ferita per tutta la vita. Solo il perdono riuscirà a sanare le lacerazioni più profonde.