“Le notizie sono drammatiche. Ogni giorno si trovano morti. Non sappiamo ancora esattamente il numero delle vittime ma sono tantissime. Penso in particolare alle persone che in queste ore si trovano ancora sotto le macerie e aspettano di essere salvati. Penso anche a tutta la povertà della gente che ha perso tutto. È una catastrofe”. Ha gli occhi pieni di lacrime mons. Martin Kmetec, arcivescovo di Smirne e presidente della Conferenza episcopale turca. Si trova a Praga dove è in corso la tappa continentale dell’assemblea sinodale europea ma il cellulare suona in continuazione che lo aggiornano anche sulla situazione in cui si trova la piccola comunità cattolica in Turchia. “Notizie da Antiochia che è stata completamente distrutta, non mi arrivano”, dice controllando se sul cellulare ci sono ultime chiamate. “Ma a Iskenderum la situazione è molto difficile. La cattedrale è stata rasa al suolo. Anche altre chiese, siriaca, greco-cattolica e ortodossa. E’ un disastro per la nostra comunità cristiana, cattolica e ortodossa, perché siamo deboli, piccoli nei numeri e sempre dipendenti dall’aiuto e dal sostegno della chiesa internazionale”. La Turchia – ricorda l’arcivescovo – ha sempre dovuto fare i conti con la furia dei terremoti. “Nel 2020 nella mia diocesi di Smirne abbiamo avuto un terremoto e sono state danneggiate fortemente 4 chiese”. Mons. Kmetec racconta quanto sia difficile ottenere i permessi per ricostruire e restaurare. Oggi la situazione si presenta ancora più problematica. “Trovare fondi per la ricostruzione con questa crisi economica è terribile”, dice. “Ogni anno tutto aumenta del 100 per 100 ma vogliamo rimanere nell’ottica della Provvidenza di Dio e fedeli alla volontà di Dio di rimanere in questi luoghi. Faremmo tutto quello che dobbiamo fare. Lo considero come un grande debito verso tutti coloro, i nostri martiri, che nei secoli hanno dato la vita per la Chiesa in questa terra. La Turchia è il luogo dove si sono svolti i primi concili”.
La macchina della solidarietà è partita subito.
Questo terremoto ha fatto suscitare una grande solidarietà e una grande comunione come chiesa. Anche i nostri giovani della diocesi si sono mossi con grande zelo per mandare aiuti alla gente. Ci stanno arrivando messaggi di solidarietà e sostegno concreto.
Quanto è importante la solidarietà in questo momento?§
È importantissima. Significa che siamo uniti nel fatto di essere umani e di essere fragili. Uniti nella nostra umanità. La sofferenza di chi ha perso tutto, la compassione verso chi si trova in difficoltà, l’azione di aiuto concreto, sono tutti i principi cardine anche del dialogo con l’islam e con tutte le religioni. Siamo tutti uniti nell’unico destino umano.
Siete collegati con le comunità cristiane della Siria?
Non abbiamo notizie. Quello che ci unisce oggi è lo sguardo alla Croce, a Cristo morto e alla fede che ci dà la certezza che riusciremo a superare, anche se con grande difficoltà, questa situazione. La vita è più forte della morte. Cristo è risorto ed è luce nell’oscurità della notte. Rimaniamo saldi in questa speranza.
Le macerie, la distruzione, il freddo e la neve. Cosa la preoccupa di più?
Mi preoccupano i bambini, mi preoccupano le donne, mi preoccupano le situazioni senza speranza concreta. Ci sono migliaia di persone che hanno perso tutto, la casa, il luogo dove hanno sempre vissuto. Avere una sicurezza per il futuro è importante ma adesso queste persone non sanno cosa sarà di loro per i prossimi sei mesi o per tutta la vita.
Ha paura di ritornare?
No. Non ho mai avuto paura.
Lei oggi qui a Praga rappresenta la voce del popolo turco. Cosa si sente di dire?
Abbiamo bisogno della vostra vicinanza e del vostro aiuto. Noi siamo pronti a fare tutto il possibile. Non abbandonateci.