“Non sta scucendo nulla che non sia già avvenuto negli anni scorsi. È una dinamica di lunga durata. Il regime di Lukashenko è un regime autoritario. Reprime l’opposizione, incarcera, censura, incoraggia l’emigrazione di chi contesta, perché preferisce che la gente se ne vada, piuttosto che rimanga e dia fastidio…. E le chiese, evidentemente, hanno fatto una scelta di campo abbastanza chiara”. Così, interpellato dal Sir, Aldo Ferrari, professore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore delle ricerche su Russia, Caucaso e Asia centrale dell’Ispi, commenta i dati di una ricerca pubblicata dalla Chiesa cattolica ucraina, rkc.org.ua, e condotta da “Christian Vision” un’associazione nata con lo scopo di monitorare “la persecuzione dei cristiani in Bielorussia”. Dall’indagine, emerge che nel 2022, almeno 24 ecclesiastici di diverse chiese avrebbero subito in Bielorussia repressione: otto cattolici romani, tre greco-cattolici, sei ortodossi e sette protestanti. Sembrerebbe però che questo numero sia probabilmente più alto. “La persecuzione dei sacerdoti non si ferma in Bielorussia”, scrive il sito ucraino. E se due anni fa, nell’agosto 2020, la polizia reprimeva le persone che protestavano contro la presunta falsificazione delle elezioni presidenziali, “ora detenzioni, multe e reclusioni minacciano tutti coloro che si oppongono alla guerra in Ucraina e all’alleanza del regime di Lukashenko con l’aggressore russo”. “Dal punto di vista di un autocrate come Lukashenko – spiega Ferrari -, chi sostiene l’Ucraina, di fatto contesta la politica di sostegno bielorusso alla Russia”. Dopo le grandi manifestazioni contro le elezioni presidenziali del 2020, “le attività di opposizione politica contro Lukashenko si sono spente o ridotte a poca cosa. Molti oppositori oggi sono in galera, moltissimi sono fuggiti all’estero. Non ci sono quindi opposizioni forti all’interno del Paese. E il governo è molto attento a schedare coloro che manifestano una simpatia per la causa ucraina”.
Secondo quanto si legge nel Report – rilanciato dalla chiesa cattolica ucraina – il motivo più comune che porta al controllo immediato della polizia in Bielorussia, è quando i sacerdoti esprimono solidarietà all’Ucraina. Sono stati convocati e interrogati preti per aver pubblicato post a sostegno degli ucraini sui social network, per aver messo, ad esempio, la bandiera ucraina sulla loro pagina Facebook o un “mi piace” su siti che il regime considera “estremisti”. Un sacerdote greco-cattolico è stato multato per aver messo un adesivo sulla sua auto con la scritta “Ucraina, mi dispiace” e così pure due sacerdoti ortodossi per aver raccolto, il primo, fondi per i rifugiati ucraini e il secondo per averli accolti con dei fiori alla stazione ferroviaria di Minsk. C’è anche il caso di un sacerdote della Chiesa cattolica, che ha preparato un videoclip con i giovani della sua parrocchia in cui una ragazza bielorussa si esprime contro la guerra. “Non vogliamo la guerra, preghiamo per l’Ucraina… Voglio che questo messaggio sia il grido del mio cuore: Niente guerra!”. Per aver pubblicato questo video sui social network, il sacerdote è stato chiamato alla polizia e multato. Dopo 14 anni di servizio, è stato costretto a lasciare la Bielorussia e ora presta servizio a Danzica, in Polonia. Il Report dice anche che una persona può essere detenuta in arresto temporaneo per 72 ore. In alcuni casi, i preti sarebbero stati trattati “come criminali”, “condotti in carcere, messi con le spalle al muro, umiliati in modo offensivo”. Nel report, infine, si fa sapere che polizia e KGB hanno esercitato pressioni anche sui vescovi, convocandoli per parlare dei loro sacerdoti “disobbedienti”. Il sito cattolico ucraino ricorda che in Bielorussia ci sono circa 1 milione di cattolici, pari al 10 per cento della popolazione. La Chiesa cattolica romana è costituita dall’arcidiocesi di Minsk-Mogilev e dalle diocesi di Grodno, Pinsk e Vitebsk.
L’Unione Europea guarda e ci si chiede quale margine di azione può avere. “La Bielorussia è già un paese condannato, stigmatizzato e sanzionato. Cosa può fare di più l’Unione Europea?”, osserva Ferrari. “Certo, far circolare questi documenti e queste informazioni è importante e necessario perché si tratta comunque di persecuzioni ad esponenti del clero e per reati di opinione. Però l’effetto è poco significativo”. La Bielorussia è un paese sul quale l’Ue si è già pronunciata duramente. “Non credo – aggiunge l’esperto – ci sia molto altro da fare. Inoltre in una situazione di guerra violenta come quella che si sta svolgendo in Ucraina, anche persecuzioni di questo tipo passano su un altro livello di attenzione. Può sembrare cinico. Stiamo però parlando di casi di persone che vengono individuate, schedate, e alle quali si esercitano delle misure restrittive come arresto o proibizione dai pubblici uffici”. Guardando al futuro e al destino dei sacerdoti, la speranza è che la situazione per le chiese locali si possa “normalizzare”, quando finirà la guerra in Ucraina. “Sicuramente sì, ma non solo”, precisa Ferrari. “Molto dipenderà dall’esito della guerra. Perché se Putin resta in piedi e con lui Lukashenko, anche la fine di questa guerra non poterà cambiamenti decisivi perché le persone segnalate come nemiche della Patria, resteranno tali anche quando la guerra sarà finita. Non è che se la Russia vince, libera Navalny o migliorano in Bielorussia i rapporti con i sacerdoti dissenzienti. Siamo purtroppo in una situazione nera. Inutile farsi troppe illusioni”.