Nemmeno di un centimetro. Le due parti non si muovono, sia sul terreno di guerra sia su quello della negoziazione. Mentre sono impegnate a confermare le alleanze, Russia e Ucraina si apprestano ad affrontare il lungo inverno di guerra con l’idea di non mutare lo scenario. Il presidente ucraino Zelensky ha incassato l’ok dagli Stati Uniti per l’invio dei missili patriot ma nella visita al Congresso, al di là della retorica e perfetta aura natalizia, ha dovuto anche ingoiare la scarsa disponibilità a continuare il conflitto. L’omologo russo ribatte e condanna “la guerra per procura” finanziata da Washington ma non resta con le mani in mano e fa tremare la Moldavia. Per Dario Fabbri, esperto di geopolitica e direttore della rivista Domino, i negoziati non sono vicini. E anche l’ipotesi di un Papa mediatore è distante. “Poteva esserlo – dice – ma le parti non sono favorevoli al negoziato. Difficile mediare fra chi non vuole farlo”.
Direttore, questa è stata la settimana delle visite: prima quella di Putin al presidente bielorusso Lukashenko poi quella di Zelensky a Biden. Cominciamo dal primo. Qual è la lettura da dare?
Mosca continua a premere sulla Bielorussia affinché possa aprire un ulteriore fronte che distrarrebbe i soldati ucraini e li costringerebbe a occuparsi del Nord. Le forze bielorusse potrebbero distrarre Kiev anche se non sono capaci di decidere le sorti del conflitto. Vedremo se nelle prossime settimane i russi riusciranno a spingerle dentro.
La lista dei desideri di Zelensky al Congresso americano è stata esaudita solo in parte, riceverà solo i patriot.
La situazione su questo altro ‘fronte’ è più complessa. Zelensky ha incontrato una notevole stanchezza nella classe politica americana. Il punto è che chi decide negli Stati Uniti sono gli apparati federali che al momento non sono convinti sia necessario sostenere la resistenza ucraina sine die. Soprattutto al Pentagono, sono certi che la situazione in Ucraina rimarrà in stallo fino alla primavera inoltrata. È per questo che durante il viaggio hanno premuto su Zelensky, affinché immagini già da adesso una sorta di negoziato con la Russia ma è proprio ciò che Kiev non vuole ascoltare. Anche secondo i sondaggi, pare che un terzo degli americani non sia più favorevole a sostenere l’Ucraina con un assegno in bianco. E poi una parte degli apparati di area vicina a Trump crede sia necessario trovare un modus vivendi con la Russia, in vista dello scontro finale con la Cina. Non ha senso, dal loro punto di vista, rimanere così tanto tempo in guerra visto che dovranno, prima o poi, aprire a Mosca in funzione anticinese. Tutto questo si è riflesso su un viaggio complesso, non a caso è avvenuto adesso prima dell’insediamento a gennaio del nuovo Congresso.
La strategia di distruggere l’infrastruttura energetica dell’Ucraina pare stia andando avanti ma sul terreno di battaglia non ci sono cambiamenti.
La situazione è molto difficile. Da quando i russi si sono ritirati sull’altra sponda di Dnepr riescono a tenere con una discreta convinzione le posizioni. Nel frattempo, continuano a bombardare le infrastrutture civili, lasciando per lunghe ore al buio e al gelo gli ucraini. Da almeno un mese e mezzo non ci si muove di un centimetro.
L’unica strada è il negoziato ma non si vedono passi in avanti.
I russi sono più favorevoli al negoziato, perché sono convinti che la situazione per loro possa solo peggiorare. Gli ucraini meno, perché sanno che non tutto il territorio sottratto sarà restituito.
La Moldavia teme di essere attaccata dal 24 febbraio ma oggi ancora di più.
La Moldavia è un territorio storicamente conteso, ha una popolazione complessa. La rende in ogni conflitto a rischio oggettivo. I russi sul piano militare sono oggi sgangherati e immaginare che riescano a occupare un altro territorio è improbabile. Che possano attaccarlo però per distrarre le energie degli ucraini è possibile.
Ha mai creduto che il Papa potesse fare da mediatore?
Nell’ultimo numero di Domino abbiamo fatto una analisi sul ruolo del Vaticano nella vicenda. Papa Francesco ha riportato il Vaticano a una dimensione più propria. I pontefici precedenti, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, erano ampiamente schierati sul fronte occidentale. Francesco invece ha un’idea del Vaticano primigenia, di un Vaticano imperiale che si pone fra gli imperi e non si schiera con nessuno. Era l’assoluta normalità nell’atteggiamento pontificio che oggi Francesco incarna alla perfezione quando dice che non ci sono né buoni né cattivi. Lui respinge il dato egemonico statunitense come buono e gli altri imperi come in assoluto cattivi. Questo poteva configurare una mediazione evidente da parte del Vaticano. Il punto è che non c’è stata l’occasione. Un po’ perché non erano maturi i termini e un po’ perché Francesco non è stato voluto come mediatore da nessuna delle parti. Il Papa ha scelto una via mediana chiara. Ha riconosciuto chi sia il carnefice e la vittima ma non ha definito salvifico l’atteggiamento americano. A Washington non erano entusiasti di questa sua posizione, ma c’è da dire che è una posizione classica. Siamo abituati a posizioni meno complesse dalla Guerra fredda in poi da parte dei pontefici. Quella di Francesco invece è molto complessa e infatti si è esposta a critiche e strumentalizzazioni.
Proprio per queste ragioni poteva essere il mediatore perfetto?
Poteva esserlo, ma le parti non sono favorevoli al negoziato. Difficile mediare fra chi non vuole farlo. Non dobbiamo dimenticarci che la parte occidentale dell’Ucraina ha una forte componente cattolica sia di rito greco sia cattolica di rito latino. E non dimentichiamo nemmeno che quando c’è stato l’assedio nell’acciaieria di Mariupol ci fu un appello nei confronti del Papa che lui ha accolto richiamando ai valori cristiani e alla necessità di evitare una carneficina. Potrebbe ancora esserci una mediazione, a patto che le parti lo vogliano. La mediazione, in una contesa, necessita del riconoscimento dell’arbitro e mi pare che per ora non ci sia.