“Le sirene hanno suonato tutta la notte per una serie di attacchi russi con droni iraniani. I nostri militari li hanno colpiti ma alcuni droni sono riusciti a sfuggire e sparare. Si sono sentite le esplosioni e la luce è saltata. Da noi ora è tornata ma in altre zone della città manca”. Le interviste cominciano sempre così. Prima si racconta cosa sta succedendo. E che qualcosa non andasse bene, lo si era capito dal telefonino spento. Solo verso le 11 di mattina, la connessione è ripresa e mons. Oleksandr Yazlovetskiy, vescovo ausiliare della diocesi di Kiev-Zhytomyr, e presidente della Caritas-Spes può rispondere al telefono.
Ma in queste condizioni, che Natale sarà quest’anno?
Sarà certamente un Natale diverso rispetto agli anni passati. Mancano le luci. Manca il tavolo pieno di cibo, manca il caldo nelle case. Ma nel buio in cui siamo sprofondati, si vede meglio ciò che è essenziale. Quando tutto è illuminato, quando le città sono piene di luminarie, musiche e addobbi natalizi, si fa fatica a vedere il vero significato del Natale che è Gesù. Qui, nel buio, sperimentiamo l’essenziale della festa che è la nascita di Dio sulla terra. Almeno lo spero ma vedo attorno a me tanti che sono predisposti a vivere quest’anno in maniera diversa questa attesa e che nonostante tutto, non perdono la gioia del Natale che sta arrivando.
La gente soffre, molti hanno perso i propri cari, chi il padre, chi il marito, tanti anche i figli. Come si può vivere la gioia del Natale nel lutto di una perdita?
È vero. Il dolore più grande si vede quando muoiono i bambini. Per noi sacerdoti è molto difficile dire ai genitori qualcosa che abbia un senso. Se muore un bambino, vengono spezzati per sempre tutti gli anni della vita che aveva davanti. E allora rimaniamo in silenzio. Come sacerdoti, celebriamo tanti funerali. Sono appena andato a seppellire un giovane di circa 35 anni. Faceva parte della nostra chiesa e serviva all’altare. Quando è scoppiata la guerra, è tornato dalla Polonia per servire il Paese ma è stato ucciso ed hanno trovato il corpo. Quando celebriamo i funerali dei soldati, c’è da una parte un grande dolore ma dall’altra anche una serenità nei familiari. Piangono ma sanno che il loro figlio, il loro marito, il padre dei loro figli è andato al fronte per difendere il paese e la propria famiglia. È tornato morto ma è tornato eroe.
Avete paura di organizzare celebrazioni natalizie per il rischio di attacchi?
Sì, anche perché attaccano soprattutto quando ci sono le feste. Abbiamo paura. Però la nostra gente sembra essere più coraggiosa dei vescovi e dei sacerdoti. Abbiamo cercato, per esempio, di celebrare più messe durante il giorno e soprattutto nei giorni di festa in modo da evitare gli affollamenti. Però i fedeli vogliono venire. Non manca mai nessuno nelle chiese. Riguardo alle celebrazioni natalizie, dipenderà dal momento e dalla situazione. Stiamo osservando e seguendo le notizie. Certo che se arrivano i droni iraniani, quelle armi colpiscono e mirano a infrastrutture ben precise. I nostri soldati riescono a intercettarli ma se sparano un missile, è più difficile. Riesce a buttare giù un intero palazzo. Può quindi essere che la situazione peggiori e in quel caso, potrebbero essere spostate o addirittura cancellate le messe in qualche zona. Bisognerà vedere.
Lei crede possibile una tregua per il periodo natalizio?
Avevamo tante speranze all’inizio della guerra. Speravamo che Putin non fosse pazzo al punto di fare quello che però poi ha fatto. Non abbiamo quindi oggi tante speranze. Posso sperare che i nostri siano pronti a fermare per questo periodo di Natale la guerra. Ma non penso che i russi lo siano. Va detto poi che in questo momento i nostri militari non stanno andando avanti. Stanno difendendo le posizioni che hanno occupato i russi. Non credo quindi che dal punto di vista umano ci siano speranze per una tregua natalizia. Però esiste anche il punto di vita della fede. E per uno che crede, Dio fa miracoli.
Lei è stato eletto nuovo presidente della Caritas-Spes. Di cosa avete più bisogno in questo momento?
Prima di tutto, di vestiti termici per combattere il freddo. Ma anche di generatori, power bank per la carica di telefonini e pc, torce elettriche stufe a gas o anche elettriche da attaccare ai generatori. Ma abbiamo bisogno anche di cucine da campo, che si possono portare nelle zone di combattimento, piccole città e villaggi completamente danneggiati, dove la gente non ha elettricità da tanto tempo ed ha quindi bisogno di mangiare cibi e bere bevande calde che apprezzano tanto. Abbiamo bisogno anche di soldi per comprare qui prodotti alimentari e beni di prima necessità evitando i costi del trasporto e sostenendo l’economia del paese.
Quale l’augurio per la sua terra, per il suo popolo, quest’anno?
Il nostro augurio è uno solo ed è pace, pace, pace. La pace è come l’aria che respiriamo. È essenziale. Abbiamo bisogno di pace per vivere. La pace è al primo posto nei desideri oggi degli ucraini. Auguro quindi a tutti pace.
Vuole fare un appello?
Chiedo a tutti di apprezzare le persone care che ci sono vicino, le cose che Dio ci ha dato, la luce, il gas, il caldo. Chiedo di apprezzare la pace. La pace è fragile. Si può spegnere come la fiammella di una canela. Con un soffio. Cerchiamo allora di coltivare ovunque siamo un clima che favorisce, protegge e sostiene la pace. Non permettiamo al male di rubare la pace. E aiutate il nostro Paese, perché la pace in Europa dipenderà dalla pace in Ucraina.